Ai sensi dell’art. 31, n. 3 del T.U.F. “Il soggetto che conferisce l’incarico è responsabile in solido dei danni arrecati a terzi dal consulente finanziario abilitato all'offerta fuori sede, anche se tali danni siano conseguenti a responsabilità accertata in sede penale”.
Nel caso di danni causati alla clientela dal consulente finanziario è prevista, dunque, un’estensione a carico dell’intermediario delle conseguenze dannose derivanti dalla condotta del consulente (sui caratteri peculiari della responsabilità dell’intermediario si veda l’approfondimento “Danni arrecati dal consulente finanziario alla clientela: sussiste (quasi) sempre la responsabilità solidale dell’intermediario finanziario” https://www.studioclaudioscognamiglio.it/danni-arrecati-dal-consulente-finanziario-alla-clientela-sussiste-quasi-sempre-la-responsabilita-solidale-dellintermediario-finanziario/).
L’intermediario finanziario, una volta che abbia adempiuto l’obbligazione risarcitoria verso il cliente derivante dalla sua responsabilità solidale con il consulente, cosa può fare?
Certamente il preponente potrà agire in via di regresso nei confronti del consulente per ottenerne la condanna al pagamento della somma che il primo sia stato chiamato a corrispondere al cliente danneggiato.
Viene in rilievo, a questo proposito, l’art. 2055 c.c., norma che trova applicazione anche quando i titoli di responsabilità degli obbligati in solido siano diversi (in ipotesi, contrattuale ed extracontrattuale: cfr. Cass. 16 dicembre 2005 n. 27713).
Quello che si porrà sarà poi il problema della ripartizione del carico del risarcimento.
Essendo la responsabilità dell’intermediario di natura oggettiva, non potrà trovare applicazione la regola racchiusa nell’art. 2055, co. 2° che ha riguardo alla gravità della rispettiva colpa ed alle conseguenze che ne sono derivate; analogamente, non potrà richiamarsi la regola del 3° co. che, nel dubbio, presume eguali le colpe.
Sarà allora opportuno agire in regresso per l’intero.
Spetterà poi al consulente, convenuto in giudizio, dedurre e provare l’esistenza di situazioni di fatto tali da imporre una ripartizione in quote del costo del risarcimento.
Va evidenziato che tale prova sarà comunque ardua da offrire, soprattutto in presenza di illeciti del promotore caratterizzati da un elemento soggettivo qualificato in termini di dolo o colpa grave. Nei fatti, è probabile che il patrimonio del consulente si riveli senz’altro incapiente, rendendo vana l’azione di regresso, tanto più se esperita per l’intero; ma questa, come si suol dire, è un’altra storia.