L’istituto del whistleblowing non è utilizzabile per scopi essenzialmente di carattere personale o per rivendicazioni riguardanti il rapporto di lavoro.
La Cassazione è tornata a pronunciarsi in tema di whistleblowing e lo ha fatto ricordando quali siano i presupposti, e i confini, dell’applicabilità dell’istituto (sentenza n. 1880 del 27 gennaio 2025).
Secondo la Corte, tale istituto risponde ad una duplice ratio, consistente, da un lato, nel delineare un particolare status giuslavoristico in favore del soggetto che segnala illeciti e, dall’altro, nel favorire l’emersione, dall’interno delle organizzazioni pubbliche, di fatti illeciti, promuovendo forme più incisive di contrasto alla corruzione. Difatti, il “dipendente virtuoso” non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto a misure discriminatorie, dirette o indirette, aventi effetti sulle condizioni di lavoro, “per motivi collegati alla segnalazione effettuata, che deve avere ad oggetto una condotta illecita, non necessariamente penalmente rilevante” (Cass. 17715/2024; avevamo approfondito il contenuto di questa pronuncia in La normativa whistleblowing non costituisce un’esimente per gli autonomi illeciti commessi dal lavoratore segnalante).
Pertanto – ha evidenziato la Corte - l’istituto del whistleblowing “non è utilizzabile per scopi essenzialmente di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti dei superiori” poiché “questo tipo di conflitti sono disciplinati da altre normative e da altre procedure”.
Nel caso affrontato dalla Cassazione, la Corte territoriale, sulla base di un accertamento non censurabile in sede di legittimità, aveva affermato che vi era stato un interesse personale alla presentazione delle denunce e che, dunque, si era rivelata la presenza di un interesse personale che portava ad escludere l’applicazione della normativa speciale.