La malattia del lavoratore costituisce, come è noto, la principale ipotesi di sospensione del rapporto di lavoro.
Anche alla stregua del concetto di malattia desumibile indirettamente dall'art. 32 Cost., la patologia impeditiva considerata dall’art. 2110 c.c., che, in deroga ai principi generali, riversa entro certi limiti sul datore di lavoro il rischio della temporanea impossibilità lavorativa, va intesa non come stato che comporti l’impossibilità assoluta di svolgere qualsiasi attività, ma come stato impeditivo delle normali prestazioni lavorative del dipendente.
E, allora, se il lavoratore assente per malattia viene sorpreso nello svolgimento di altre attività?
In questo caso, secondo la giurisprudenza, spetta al dipendente dimostrare la compatibilità di dette attività con la malattia impeditiva della prestazione lavorativa, la mancanza di elementi idonei a far presumere l’inesistenza della malattia e quindi, una sua fraudolenta simulazione, e la loro inidoneità a pregiudicare il recupero delle normali energie psico-fisiche.
Si tratta di una valutazione riservata al giudice del merito da svolgere all’esito di un accertamento da svolgersi non in astratto, ma in concreto, con giudizio ex ante.
I principi che informano la materia possono dirsi ormai consolidati.
In particolare, è pacifico che lo svolgimento di attività extra-lavorativa durante il periodo di assenza per malattia possa costituire illecito disciplinare, tanto da giustificare il recesso del datore di lavoro, per violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà.
Lo è, certamente, quando l'attività esterna, prestata o meno a titolo oneroso, sia per sé sufficiente a far presumere l'inesistenza della malattia.
E lo è quando, in violazione del dovere preparatorio all’adempimento, e valutata in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, l’attività stessa possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio del lavoratore (cfr., tra le tante, Cass. 19 dicembre 2000 n. 15916, Cass. 15 gennaio 2016 n. 586, Cass. 27 aprile 2017 n. 10416, Cass. 19 ottobre 2018 n. 26496).
Inoltre, l'espletamento di attività extra lavorativa durante il periodo di assenza per malattia costituisce illecito disciplinare non solo se da tale comportamento derivi un'effettiva impossibilità temporanea della ripresa del lavoro, ma anche quando la ripresa è solo messa in pericolo dalla condotta imprudente (Cfr. Cass., n. 16465/2015), con una valutazione di idoneità che deve essere svolta necessariamente ex ante, rapportata al momento in cui il comportamento viene realizzato.
Si tratta di principi che sono stati ribaditi anche di recente da una sentenza della Corte di Cassazione (Cass. 13 aprile 2021, n. 9647).
Nel caso affrontato dalla Corte, il lavoratore, che svolgeva mansioni di operatore ecologico raccoglitore, era stato licenziato per giusta causa perché, assente per malattia, era stato impegnato in altre attività, definite ricreative dalla sentenza. La Suprema Corte ha reputato che la Corte di merito avesse correttamente applicato i principi elaborati e sopra rammentati.
In particolare, all’esito di una analitica ricognizione delle acquisizioni probatorie e di una approfondita disamina degli elaborati medico-legali, il giudice di appello – secondo la Corte – sarebbe pervenuto alla conclusione che i comportamenti assunti dal lavoratore nel periodo di assenza per malattia fossero compatibili con la diagnosi di una patologia di natura neurologica (lieve stato ansioso depressivo).
Pertanto, la Corte territoriale avrebbe coerentemente escluso che la diagnosi della patologia fosse il frutto di una progettazione fraudolenta e che i comportamenti assunti dal lavoratore si ponessero in condizione di incompatibilità rispetto alla guarigione o costituissero ostacolo ad una rapida soluzione dell'episodio morboso.
Nessun licenziamento, dunque, se l’attività extra - lavorativa è compatibile con lo stato di malattia del lavoratore.