Come è noto, il patto di prova apposto al contratto di lavoro mira a tutelare l’interesse di entrambe le parti contrattuali di sperimentare la reciproca convenienza al contratto.
Cosa succede, allora, nel caso in cui, nel corso o al termine del periodo di prova, il datore di lavoro intimi il licenziamento?
In primo luogo, si rammenta che l’art. 10, L. n. 604/1966 ha testualmente escluso dal proprio ambito di applicazione il licenziamento in periodo di prova; ne discende che il datore di lavoro può risolvere unilateralmente il contratto di lavoro non solo al termine del periodo di prova, ma anche durante lo stesso.
Si tratta di un recesso che non necessita di alcuna giustificazione, né di un obbligo di preavviso ovvero dell’indennità sostitutiva dello stesso.
La natura discrezionale di tale licenziamento rileva anche nel caso in cui vi sia, da parte del lavoratore, la contestazione in ordine alla valutazione della capacità e del comportamento professionale del lavoratore stesso.
Alla luce di tali premesse, come ha ribadito la Corte di Cassazione, nella recentissima ordinanza del 29 ottobre 2020 n. 23927, incombe sul lavoratore licenziato, che deduca in sede giurisdizionale la nullità di tale recesso, l’onere di provare, secondo la regola generale di cui all’art. 2697 c.c., sia il positivo superamento del periodo di prova, sia che il recesso è stato determinato da motivo illecito e che, quindi, è estraneo alla funzione del patto di prova (nello stesso senso, anche Cass. 14 ottobre 2009, n. 21784, nonché Cass. 18 gennaio 2017, n. 1180).