La giurisprudenza di legittimità prosegue la propria opera interpretativa della disciplina del consenso informato del paziente. E lo fa continuando a percorrere il sentiero tracciato con le precedenti pronunce. Con la recente ordinanza del 12 giugno 2023, n. 16633 la Corte ci restituisce un’immagine sinottica proprio di quel sentiero.
Si tratta di una decisione che offre vari spunti di approfondimento.
In primo luogo, viene ricordato che il consenso del paziente, oltre che informato, deve essere consapevole, completo (deve riguardare cioè tutti i rischi prevedibili, compresi quelli statisticamente meno probabili, con esclusione solo di quelli assolutamente eccezionali ed altamente improbabili) e globale (deve coprire non solo l’intervento nel suo complesso, ma anche ogni singola fase dello stesso). Il consenso deve poi essere esplicito e non meramente presunto o tacito, anche se presuntiva, per contro, può essere la prova che deve dare il medico del fatto che un esplicito consenso informato è stato effettivamente prestato.
La Corte ha poi precisato che quel che rileva ai fini della valutazione da compiere sulla completezza delle informazioni da fornire al paziente è che si tratti di evento correlabile alla prestazione sanitaria, la cui possibile verificazione sia comunque nota nella letteratura medica e come tale prevedibile, ancorché quale conseguenza di bassa frequenza statistica.
In particolare, nello specifico caso affrontato nell’ordinanza, la complicanza verificatasi non era stata considerata, neppure dai consulenti, eccezionale o altamente improbabile, essendo piuttosto ad essa assegnata una percentuale di verificazione sì bassa (5%), ma, tuttavia, non a tal punto da potersi qualificare nei termini anzidetti.
Su tali premesse, la Cassazione si è così soffermata su quello che ha qualificato espressamente lo “statuto della responsabilità da mancato consenso informato”, emergente dalla ormai consolidata giurisprudenza della medesima Sezione.
Come ricorda la Corte, l’inadempimento dell’obbligo di acquisire il consenso informato del paziente può assumere diversa rilevanza causale a seconda che sia dedotta la violazione del diritto all’autodeterminazione o la lesione del diritto alla salute.
In primo luogo, i supremi giudici hanno rammentato che, ai fini della verifica della fondatezza della pretesa risarcitoria, devono essere presenti i seguenti elementi:
a) la condotta lesiva, ovvero l’omissione o l’incompletezza delle informazioni rese al paziente, insieme al presunto dissenso all’atto terapeutico nelle ipotesi di cui si dirà;
b) l’evento di danno,che può essere rappresentato dalla violazione del diritto all’autodeterminazione o della lesione del diritto alla salute o da entrambi (la potenziale plurioffensività del medesimo fatto lesivo era stata già riconosciuta da Cass. n. 28985/2019);
c) il danno-conseguenza, ossia le concrete conseguenze pregiudizievoli, derivanti, secondo nesso di causalità giuridica ex art. 1223 c.c., dall’evento di danno.
La violazione degli obblighi informativi dovuti al paziente, dunque, può essere dedotta sia in relazione eziologica rispetto all’evento di danno rappresentato dalla lesione del diritto alla salute, sia in relazione all’evento di danno rappresentato dalla violazione del diritto all’autodeterminazione, sia, contemporaneamente, in relazione ad entrambi.
Nel primo caso (deficit informativo dedotto come lesivo del diritto alla salute) le particolarità non riguardano il secondo ed il terzo elemento dello schema ora ricordato (non sarà risarcibile, in sé, la lesione dell’integrità psico-fisica, ma le conseguenze pregiudizievoli da questa derivanti), quanto, piuttosto, il fatto lesivo. In questo caso, infatti, l’omessa informazione assume di per sé carattere neutro sul piano eziologico, in quanto la rilevanza causale dell'inadempimento viene a dipendere indissolubilmente dalla alternativa ‘consenso/dissenso’ che qualifica detta omissione.
In caso, infatti, di presunto consenso, l’inadempimento dell’obbligo informativo, pur esistente, risulterebbe privo di incidenza deterministica sul risultato infausto dell’intervento correttamente eseguito, in quanto comunque voluto dal paziente.
Diversamente, in caso di presunto dissenso, detto inadempimento assume efficienza causale sul risultato pregiudizievole, in quanto l’intervento terapeutico non sarebbe stato eseguito - e l’esito infausto non si sarebbe verificato - non essendo stato voluto dal paziente.
L’allegazione (e la verifica giudiziale) dei fatti dimostrativi della opzione ‘a monte’ che il paziente avrebbe esercitato viene, quindi, a costituire elemento integrante del nesso eziologico (da provarsi ovviamente da parte della parte attrice ex art. 2697 c.c.) tra l’inadempimento e l’evento dannoso.
Nel secondo caso (deficit informativo dedotto come lesivo del diritto alla autodeterminazione), invece, la particolarità riguarda il terzo elemento dello schema concettuale richiamato, ossia i pregiudizi risarcibili.
Quanto al fatto lesivo, invero, se, di regola, occorre allegare e provare, oltre alla violazione dell'obbligo informativo, anche che, se correttamente informato, il paziente avrebbe rifiutato di sottoporsi all'intervento, è di converso ipotizzabile che, pur nel caso in cui possa presumersi che questi avrebbe prestato il consenso, egli non sia stato messo nelle condizioni di autonomamente determinarsi ed affrontare consapevolmente l’intervento (Cass. n. 7248 del 2018; Cass. n. 28895 del 2019).
Anche in tale ipotesi, dunque, la violazione dell'obbligo informativo determina comunque la lesione del diritto all'autodeterminazione.
Con ciò, però, si rimane pur sempre sul piano dell'evento lesivo (o danno-evento), il quale non costituisce di per sè, come detto, danno risarcibile.
Ed è qui che, secondo la Cassazione, emerge la peculiarità dell’ipotesi in esame: mentre nel caso di deficit informativo eziologicamente rilevante nella determinazione del danno da lesione del diritto alla salute, danno risarcibile è rappresentato dalle conseguenze di tale lesione, nel caso in cui non è questo il danno che viene in considerazione, è indispensabile allegare e provare specificamente quali altri pregiudizi, diversi dal danno alla salute eventualmente derivato, il danneggiato abbia subito.
Ne discende che un danno risarcibile da lesione del diritto all'autodeterminazione è ammissibile solo se, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale (ed, in tale ultimo caso, di apprezzabile gravità), diverso dalla lesione del diritto alla salute, in termini di sofferenza soggettiva e contrazione della libertà di disporre di se stesso, psichicamente e fisicamente, da allegarsi specificamente e da provarsi concretamente, sia pure a mezzo di presunzioni.
Sul punto la Corte di Cassazione si era già espressa in termini chiari. In particolare, con la sentenza n. 5631 del 23 febbraio 2023, aveva sottolineato che le conseguenze dannose derivanti da un atto terapeutico eseguito senza un consenso legittimamente prestato devono essere debitamente allegate dal paziente sul quale grava l’onere di provare il fatto positivo del rifiuto che egli avrebbe opposto al medico, tenuto conto che il presupposto della domanda risarcitoria è costituito dalla sua scelta soggettiva e non essendo configurabile un danno risarcibile in re ipsa derivante esclusivamente dall’omessa informazione. In quella occasione, la Corte aveva altresì affermato che la domanda di risarcimento del danno alla salute cagionato da errore medico può essere modificata - ai sensi dell’art. 183, comma 6, c.p.c., nella formulazione vigente ratio temporis - in domanda di risarcimento del danno da lesione degli obblighi informativi, posto che, rimanendo immutata la vicenda sostanziale, la diversità dei fatti costitutivi non altera, strutturalmente, il contradditorio, né determina la compromissione delle potenzialità difensive della controparte o l’allungamento dei tempi processuali, essendo possibili, ai sensi della norma innanzi indicata, allegazioni in replica dopo l’esercizio della precisazione assertiva, così come alle istanze di prova in relazione alla domanda come precisata, sono contrapponibili, istanze in controprova.