Il caso
Una signora si duole in giudizio del danno non patrimoniale asseritamente arrecatole dalla Società incaricata della fornitura del gas naturale nella sua abitazione. Più in particolare, la sospensione della fornitura del gas per un periodo di più giorni ha impedito alla predetta signora di celebrare con amici e parenti, in aderenza ai precetti religiosi appunto, una festività – vivamente sentita dalla comunità a cui appartiene la danneggiata – che implicava riti di preghiera e culinari di natura collettiva. Afferma, pertanto, di aver subito un danno alla propria libertà religiosa.
I principi di diritto affermati dalla Cassazione con l’ordinanza n. 220/2023
La Suprema Corte ribadisce, innanzi tutto, il principio secondo cui il danno arrecato ad un valore o ad un interesse costituzionalmente rilevante non può coincidere con l’illecito in sé, dovendosi escludere l’ammissibilità e la correttezza giuridica di qualsiasi automatismo che, accertato l’illecito, riconosca il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale a prescindere dalla prova di quest’ultimo.
Inoltre, la natura unitaria del danno non patrimoniale – che può scaturire dalla lesione di un qualsiasi valore o interesse costituzionalmente tutelato – preclude il riconoscimento di voci di danno distinte che però attengono a pregiudizi identici. Ciò che deve essere oggetto di valutazione da parte del giudicante è il c.d. danno morale, “sub specie del dolore, della vergogna, della disistima di sé, della paura, della disperazione”, oltre che gli effetti relativi alla “privazione, diminuzione o modificazione delle attività dinamico relazionali precedentemente esplicate dal danneggiato” (è questo il c.d. danno esistenziale: si vedano, tra le tante Cass. n. 23469 del 28 settembre 2018; Cass. n. 901 del 17 gennaio 2018).
Tuttavia, ulteriore condizione affinché il danno non patrimoniale possa essere risarcito è che l’offesa al valore costituzione protetto “superi la soglia di minima tollerabilità imposta dai doveri di solidarietà sociale (v. Cass., 12/11/2019, n. 29206), e pertanto non anche allorquando vengano lamentati meri disagi, fastidi, disappunti, ansie, stress e violazioni del diritto alla tranquillità...che costituiscono conseguenze non gravi ed insuscettibili di essere monetizzate perché bagatellari”.
In sostanza, afferma la Corte, il mero “sconvolgimento dell’agenda” ed il mero inconveniente generano esclusivamente un “fastidio” che non è idoneo ad esser risarcito, dovendo anzi essere sopportato proprio in ragione dei doveri di solidarietà sociale che gravano su ogni consociato.