In tema di conto corrente bancario, sebbene non vi sia un dovere generale dell’istituto di credito di monitorare la regolarità delle operazioni ordinate dal cliente, in applicazione dei doveri di esecuzione del mandato secondo buona fede, sussiste un obbligo di protezione che, ogni qualvolta l'operazione appaia ictu oculi anomala e non rispondente agli interessi del correntista, impone di rifiutarne l'esecuzione o, quantomeno, di informare il cliente.
La Corte di Cassazione, in una recente pronuncia (ordinanza 4 dicembre 2024, n. 31052), ha ribadito tali principi che costituiscono, all’evidenza, un’applicazione della buona fede contrattuale.
Un’associazione politica aveva convenuto in giudizio un istituto bancario affinché ne venisse accertata la responsabilità per violazione degli obblighi contrattuali ex art. 1218 c.c. e, in subordine, la responsabilità ex artt. 1228 e 2049 c. c., per fatto degli ausiliari.
A fondamento della propria domanda, l’associazione aveva allegato di aver acceso, presso l’agenzia Senato della Banca convenuta, un conto corrente in cui confluivano le risorse economiche del partito ed in cui erano autorizzati ad operare disgiuntamente il Presidente ed il tesoriere. Quest’ultimo, per un periodo di quattro anni, si era indebitamente appropriato delle risorse del conto, così svuotandolo. L’associazione si era accorta di tale indebita appropriazione, per cui si era anche proceduto in sede penale, soltanto a seguito della comunicazione della Banca d'Italia, mentre l’istituto presso il quale era stato acceso il conto non aveva segnalato alcunché, pur in presenza di numerose operazioni anomale, per frequenza ed elevato importo, limitandosi ad inviare le comunicazioni ordinarie (contabili bancarie, estratti conto mensili), oltretutto, soltanto al tesoriere infedele. Di conseguenza, secondo la tesi dell’associazione, sussisteva la responsabilità della banca ed il danno risarcibile doveva essere considerato di ammontare pari agli importi illecitamente sottratti.
Il Tribunale aveva rigettato la domanda risarcitoria con sentenza poi confermata dalla Corte d’appello.
L’associazione aveva così proposto ricorso per cassazione, poi accolto dalla Suprema Corte.
Secondo la Cassazione, sebbene, in linea generale, non possa essere affermato un indiscriminato e generale obbligo in capo alla banca di controllo delle movimentazioni del conto corrente, per altro verso, “la banca è tenuta, in relazione all'obbligo di buona fede oggettiva nell'ambito del rapporto contrattuale di cui all'art. 1175 cod. civ. e nell'esecuzione in buona fede del contratto ai sensi dell'art. 1375 cod. civ., ad attivarsi, onde evitare, senza eccessivo sacrificio per il suo interesse, un eccessivo pregiudizio per il proprio cliente correntista, e dunque a dare perlomeno segnalazione al cliente delle operazioni che, nel caso di specie, per rilevante frequenza, esorbitante importo, anomale modalità di effettuazione -mediante frazionamento ed anche mediante prelievo in contanti - si rivelavano estranee all'attività ed agli interessi del partito stesso”.
Come ricorda la pronuncia, la Suprema Corte aveva già avuto modo di affermare, in via generale, che la clausola di buona fede nell’esecuzione del contratto opera come criterio di reciprocità, imponendo a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra e costituisce un dovere giuridico autonomo a carico delle parti contrattuali, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da norme di legge, con la conseguenza che la sua violazione costituisce di per sé inadempimento e può comportare l'obbligo di risarcire il danno.
Più nello specifico, la Corte ha precisato che “In tema di conto corrente bancario, pur non potendosi pretendere che l'istituto di credito, con il quale una società intrattenga rapporti di conto corrente, si trasformi nel controllore esterno della regolarità delle operazioni compiute dall'amministratore di detta società, rientrano nel dovere di esecuzione del contratto secondo correttezza e buona fede, gravante sul mandatario (e quindi sulla banca, alla quale la società abbia affidato i propri depositi), il rifiuto di operazioni "ictu oculi" anomale, quando esse siano tali da compromettere palesemente l'interesse della correntista o, quanto meno, quale dovere di protezione dell'altro contraente, l'attivazione della banca per informarne la società, in persona di un amministratore diverso da quello intenzionato a realizzare l'operazione manifestamente lesiva (Cass., 31/03/2010, n. 7956)”.
Si tratta di obblighi di informazione e di protezione particolarmente cogenti, nei rapporti con i clienti, per l'istituto di credito, atteso che questi è tenuto ad operare con la diligenza richiesta dall'attività professionale ex art. 1176, comma 2, c.c.
Nel caso di specie, secondo la Cassazione, la Corte territoriale si era pronunciata in maniera difforme rispetto a tali principi, in particolare laddove, pur dando atto della riscontrata anomalia di numerose operazioni di conto corrente, aveva escluso l’obbligo di un controllo della banca in funzione protettiva del cliente.
Né poteva considerarsi sufficiente, e determinante, il fatto che la banca avesse assolto l'obbligo di comunicazione previsto dall’art. 119 T.U.B.; premesso che le comunicazioni periodiche ed ordinarie erano state inviate dall'istituto di credito soltanto a colui che si era poi rivelato essere un tesoriere infedele – a dire della Corte - viene in rilievo non solo il dovere di attivazione e di informazione (ulteriore rispetto a quello ordinario e periodico) di comunicazione al correntista di operazioni anomale, ma anche la necessità della “attivazione della banca per informarne la società, in persona di un amministratore diverso da quello intenzionato a realizzare l'operazione manifestamente lesiva”.
La Corte ha del pari reputato erronea la statuizione secondo la quale, nel caso di specie, non sarebbe configurabile un danno risarcibile in quanto l’attività illecita del tesoriere sarebbe stata consentita dall'assenza di meccanismi di controllo interni al partito. Secondo la Cassazione, l’eventuale assenza di un controllo interno sull’operato del tesoriere, rivelatosi infedele, non basterebbe di per sé ad escludere del tutto la responsabilità della banca, potendo, al più, essere applicato l’art. 1227 c.c. per il concorso di colpa del creditore.