Il lavoratore che svolge attività diverse dall’assistenza al familiare disabile mentre fruisce dei permessi ex l. 104/1992 può essere legittimamente licenziato.
Lo ha confermato la Corte di Cassazione con una pronuncia (cfr. ord. 12 marzo 2024, n. 6468) che si inserisce nel solco tracciato dalla medesima Corte in tema di condotte abusive di lavoratori che fruiscano di sospensioni autorizzate del rapporto per l’assistenza o la cura di soggetti protetti.
Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva confermato la pronuncia di primo grado che aveva ritenuto legittimo il licenziamento disciplinare intimato dal datore di lavoro per assenza ingiustificata a seguito di anomali allontanamenti dal posto di lavoro, soprattutto in connessione con la fruizione di permessi ex lege n. 104/1992 in favore di genitori infermi. La Corte territoriale aveva ritenuto provato che la lavoratrice non avesse prestato in modo rilevante e significativo l’assistenza ai genitori disabili, nelle ore imputate a permesso, avendo ella dedicato quel tempo ad altre attività. Secondo i giudici di appello, il complessivo comportamento tenuto dalla lavoratrice si era tradotto in un atto illecito, avendo questa dimostrato un sostanziale disinteresse per le esigenze aziendali, così integrando una grave violazione dei principi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto di lavoro di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. idonea a legittimare il licenziamento per giusta causa.
La lavoratrice ha proposto il ricorso innanzi alla Corte di Cassazione che ha invece confermato la decisione di secondo grado.
Nel dichiarare infondate le censure formulate dalla ricorrente, la Suprema Corte ha richiamato i principi posti alla base della – pacifica - giurisprudenza della medesima Corte secondo i quali può costituire giusta causa di licenziamento l’utilizzo, da parte del lavoratore, di permessi ex lege n. 104 del 1992 in attività diverse dall'assistenza al familiare disabile, con violazione della finalità per la quale il beneficio è concesso (Cass. n. 4984 del 2014; Cass. n. 8784 del 2015; Cass. n. 5574 del 2016; Cass. n. 9749 de1 2016; più di recente: Cass. n. 23891 del 2018; Cass. n. 8310 del 2019; Cass. n. 21529 del 2019).
Secondo la Corte, in coerenza con la ratio del beneficio, l’assenza dal lavoro per la fruizione del permesso deve porsi in relazione diretta con l'esigenza per il cui soddisfacimento il diritto stesso è riconosciuto, ossia l'assistenza al disabile. In altre parole, la norma non consente di utilizzare il permesso per esigenze diverse da quelle proprie della funzione cui la norma è preordinata.
Come ha evidenziato la Corte di Cassazione, il beneficio comporta un sacrificio organizzativo per il datore di lavoro che è giustificabile solo in presenza di esigenze riconosciute dal legislatore (e dalla coscienza sociale) come meritevoli di superiore tutela.
Ne consegue che, ove il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile manchi, non può riconoscersi un uso del diritto coerente con la sua funzione e, dunque, si è in presenza di un uso improprio ovvero di un abuso del diritto (cfr. Cass. n. 17968 del 2016), o, secondo altra prospettiva, di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro (che sopporta modifiche organizzative per esigenze di ordine generale) che dell'Ente assicurativo (cfr. Cass. n. 9217 del 2016).
Nell’ambito del ricorso per cassazione, la lavoratrice aveva anche contestato la legittimità dei controlli operati dal datore di lavoro per il tramite di agenzie investigative.
Sul punto, la Cassazione ha ritenuto la sentenza d’appello conforme al principio secondo il quale il controllo demandato all’agenzia investigativa è legittimo ove non abbia ad oggetto l’adempimento della prestazione lavorativa, ma sia finalizzato a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti od integrare attività fraudolente. Quest’ultima ipotesi, secondo la Corte, si verifica anche nel caso di controllo finalizzato, appunto, all'accertamento dell'utilizzo improprio, da parte di un lavoratore, dei permessi ex art. 33 legge n. 104 del 1992 (cfr. già Cass. n. 4984 del 2014; Cass. 6 maggio 2016, n. 9217; Cass. n. 15094 del 2018; Cass. n. 4670 del 2019).