Può l’I.N.P.S. chiedere la restituzione dell’indennità di disoccupazione?

Roberto Lama
17 Settembre 2024

La questione si pone nei casi in cui, successivamente alla fruizione dell’indennità in questione, il lavoratore abbia ottenuto una sentenza che dichiara illegittimo il licenziamento e ordina al datore di lavoro la reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro, oppure nel caso in cui venga pronunciata una sentenza che dichiara la nullità del termine apposto contratto di lavoro (con conseguente costituzione ex tunc di un unico rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato). In tali ipotesi, la ricostituzione giudiziale del rapporto di lavoro con efficacia retroattiva rende insussistente – dal punto di vista prettamente giuridico – il periodo di disoccupazione involontaria che ha giustificato l’erogazione dell’indennità.

Può pertanto l’I.N.P.S. chiedere la restituzione dell’indennità di disoccupazione sul presupposto che essa, per effetto del successivo pronunciamento giudiziale, sia divenuta un indebito?

Ha preso in esame il predetto quesito l’ordinanza n. 22985 del 21 agosto 2024 con cui la Corte di Cassazione ha rimesso la causa al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione della medesima alle Sezioni Unite.

L’occasione è scaturita da un ricorso con cui l’I.N.P.S. ha impugnato una sentenza della Corte di Appello di Perugia che aveva ritenuto illegittima la richiesta dell’Ente previdenziale di restituzione dell’indennità di disoccupazione, che, successivamente alla scadenza del proprio rapporto di lavoro a tempo determinato, un lavoratore aveva percepito in ragione del proprio stato di disoccupazione involontaria. Lavoratore che, peraltro, aveva agito in giudizio, con esiti al medesimo favorevoli, al fine di veder dichiarata la nullità del termine apposto al proprio contratto di lavoro; quest’ultimo aveva pertanto ottenuto una sentenza di accertamento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato fin dal primo rapporto di lavoro a termine.

A fondamento della propria richiesta, l’Ente previdenziale ha sostenuto che, in seguito all’accertamento giurisdizionale, verrebbe meno lo stato di disoccupazione involontaria; inoltre, l’indennità risarcitoria ex art. 32, comma 5, L. n. 183/2010, al pagamento della quale il datore è condannato in caso di accertata nullità del termine, sarebbe di per sé idonea a ristorare il pregiudizio subito dal lavoratore nel periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale sia stata ordinata la ricostituzione del rapporto, con il corollario che l’indennità di disoccupazione diverrebbe indebita.

La Corte di Cassazione muove, innanzi tutto, da un riepilogo della disciplina normativa e da una rapida analisi delle proprie pronunce sul tema. Rammenta quindi come sia stato affermato da Cass. 11 giugno 1998 n. 5850 che “l’effetto estintivo del rapporto di lavoro, proprio dell'atto di recesso, determina comunque lo stato di disoccupazione che rappresenta il fatto costitutivo del diritto alla prestazione stabilita dalla norma, sul quale non incide la contestazione in sede giudiziale della legittimità del licenziamento, impugnato dal lavoratore”.

Nella vigenza dell’art. 18 L. n. 300/1970 (nella versione anteriore alla riforma apportata dalla L. n. 92/2012), è stato altresì affermato (Cass. n. 18/10/2022 n. 30553) che l’indennità di disoccupazione spetti al lavoratore illegittimamente licenziato che, nonostante l’ordine di reintegrazione, non sia stato riammesso in servizio: ciò perché “lo stato di disoccupazione è pur sempre involontario, in quanto frutto dell'atto datoriale di risoluzione e non della mancata esecuzione del provvedimento giudiziale e dunque l'erogazione della prestazione previdenziale mantiene la medesima finalità di sostegno al reddito a cui è ordinariamente finalizzata”. Un punto più volte ribadito da diverse pronunce è quello per cui l’impugnazione del licenziamento da parte del lavoratore costituisce un diritto e non anche un obbligo, con il corollario per cui la mancata impugnazione del licenziamento non fa venir meno il diritto all’indennità di disoccupazione, posto che “diversamente opinando, si dovrebbe ritenere che non spetti l'indennità di disoccupazione ogni qual volta il lavoratore ometta di impugnare un licenziamento che pur si presenti manifestamente illegittimo oppure ogni qual volta transiga la lite prima ancora della (possibile) sentenza di reintegra”.

E’ stato quindi precisato, più chiaramente, che il diritto alla ripetizione dell’indennità di disoccupazione sussista solo nel caso in cui la ricostituzione del rapporto, oltre che giuridica, sia stata anche economica, circostanza che non si verifica “nel caso in cui si accerti che la ricostituzione del rapporto non sia mai intervenuta ed il lavoratore non abbia ricevuto le proprie spettanze retributive” (Cass. n. 28295/2019).

E così, recentemente, con l’ordinanza n. 22850 del 21/07/2022 (che si colloca nel solco di quanto sancito da Cass. n. 24950/2021, n. 17793/2020 e n. 28295/201) la Suprema Corte ha ritenuto che, in caso di accertata illegittimità del licenziamento cui sia seguita la reintegrazione nel posto di lavoro, “solo per effetto del ripristino del rapporto l’INPS potrà e dovrà procedere al recupero delle somme indebite non senza ricordare che, se alla pronunzia non segue l'effettiva reintegra anche perché non viene posta in esecuzione la sentenza favorevole, l’erogazione dell’indennità di disoccupazione non diviene indebita”.

Sembrerebbe quindi che, rileva la Corte con l’ordinanza che qui si commenta, il requisito della disoccupazione involontaria potrebbe venir meno per effetto di un sopravvenuto accertamento giudiziale (della nullità del termine o dell’illegittimità del licenziamento) con conseguente diritto dell’Ente previdenziale a ripetere quanto erogato, purché “sia ripristinato lo status di lavoratore occupato sotto tutti i profili, anche quello economico”.

Ribadito dunque il principio per cui l’effettivo ed integrale ripristino – anche economico – del rapporto di lavoro fa venir meno lo stato di disoccupazione involontaria e, per converso, fonda il diritto dell’I.N.P.S. alla ripetizione dell’indennità di disoccupazione,  ecco che la Sezione rimettente si confronta con il mutato quadro delle tutele di tipo economico che – a partire dalla Legge n. 183/2010 per il contratto a termine e dalla Legge n. 92/2012 per il licenziamento illegittimo – sono destinate a trovare applicazione, rispettivamente, in caso nullità del termine apposto al contratto di lavoro e in caso di invalidità del licenziamento.

L’innegabile e progressivo ridursi di tali tutele economiche rende necessario chiedersi, ad avviso della Sezione rimettente, se esse siano effettivamente in grado realizzare la finalità di sostegno al reddito a cui è preordinata l’indennità di disoccupazione che, “come ripetutamente affermato da questa Corte, ha natura previdenziale e svolge la funzione di fornire nel periodo di involontaria disoccupazione ai lavoratori (e alle loro famiglie) un sostegno al reddito, in attuazione della previsione dell'art. 38 secondo comma della Costituzione”.

Per questo motivo, ovvero per “la natura intrinsecamente di massima di particolare importanza della questione esposta e il latente contrasto esistente nella giurisprudenza di questa Corte circa l’interpretazione delle disposizioni sopra richiamate” (riferibile soprattutto a Cass. n. 24645/2023 che per la ripetizione dell’indennità di disoccupazione ritiene sufficiente la sola ricostituzione giuridica del rapporto), la Sezione Lavoro, come accennato, ha rimesso la causa al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione dalla medesima alle Sezioni Unite.

Non resta che attendere l’intervento chiarificatore di queste ultime su un tema di notevole rilevanza all’interno del sistema di tutela previdenziale del lavoratore rimasto involontariamente disoccupato.

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