La registrazione di una conversazione tra presenti può costituire fonte di prova entro i limiti e condizioni specificamente individuate. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (29 settembre 2022, n. 28398), inserendosi nel solco tracciato già da recenti pronunce, ha ricordato, con tratti chiari e precisi, quali siano le condizioni affinché una registrazione su nastro magnetico di una conversazione possa costituire, appunto, fonte di prova, con particolare riferimento agli ambienti di lavoro (in argomento, sempre su questo sito, Si può registrare una conversazione tra colleghi?).
In primo luogo, è necessario che colui contro il quale la registrazione è prodotta non contesti che la conversazione sia realmente avvenuta, né che abbia avuto il tenore risultante dal nastro, e sempre che almeno uno dei soggetti, tra cui la conversazione si svolge, sia parte in causa.
Il disconoscimento, da effettuare nel rispetto delle preclusioni processuali degli artt. 167 e 183 c.p.c., deve essere chiaro, circostanziato ed esplicito e concretizzarsi nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra la realtà fattuale e quella riprodotta (in questo senso, Cass. n. 1250 del 2018; n. 5259 del 2017; n. 27424 del 2014).
Vi è poi da considerare il fatto che la registrazione di una conversazione costituisce un trattamento dei dati personali (con particolare riferimento a questo aspetto, si consiglia Un caso di registrazione di una conversazione fra colleghi illecita ed anche La registrazione di conversazioni da parte del lavoratore tra diritto di difesa e tutela della riservatezza).
Nel valutare se la condotta di una registrazione di conversazioni tra un dipendente ed i suoi colleghi presenti, all’insaputa dei conversanti, potesse integrare una grave violazione del diritto alla riservatezza giustificativa del licenziamento, la Corte ha rammentato di aver già chiarito (in particolare in Cass. n. 11322 del 2018, nonché in Cass. n. 12534 del 2019 e n. 31204 del 2021) che il d.lgs. n. 196 del 2003, all’ art. 24, permetteva di prescindere dal consenso dell’interessato quando il trattamento dei dati, pur non riguardanti una parte del giudizio in cui la produzione venga eseguita, fosse necessario per far valere o difendere un diritto, a condizione che essi fossero trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento.
In questo senso, la Corte ha ribadito che l’utilizzo a fini difensivi di registrazioni di colloqui tra il dipendente e i colleghi sul luogo di lavoro non necessita del consenso dei presenti, in ragione dell’imprescindibile necessità di bilanciare le contrapposte istanze della riservatezza da una parte e della tutela giurisdizionale del diritto dall’altra.
Si è quindi affermata la legittimità (o meglio, l’inidoneità all’integrazione di un illecito disciplinare) della condotta del lavoratore che abbia effettuato tali registrazioni per tutelare la propria posizione all’interno dell’azienda e per precostituirsi un mezzo di prova, rispondendo la stessa, se pertinente alla tesi difensiva e non eccedente le sue finalità, alle necessità conseguenti al legittimo esercizio di un diritto.
In questa prospettiva, la Corte ha rammentato di aver esplicitamente affermato che il diritto di difesa non è limitato alla pura e semplice sede processuale, “estendendosi a tutte quelle attività dirette ad acquisire prove in essa utilizzabili, ancor prima che la controversia sia stata formalmente instaurata mediante citazione o ricorso. Non a caso nel codice di procedura penale il diritto di difesa costituzionalmente garantito dall'art. 24 Cost. sussiste anche in capo a chi non abbia ancora assunto la qualità di parte in un procedimento”.
Da tali premesse è stata tratta la conseguenza secondo la quale la condotta di registrazione di una conversazione tra presenti, ove connessa al legittimo esercizio del diritto di difesa, e quindi “essendo coperta dall’efficacia scriminante dell'art. 51 c.p., di portata generale nell'ordinamento e non già limitata al mero ambito penalistico”, non può di per sé integrare illecito disciplinare (Cass. n. 27424 del 2014 cit.), essendo necessario un attento ed equilibrato bilanciamento tra la tutela di due diritti fondamentali: la garanzia della libertà personale, sotto il profilo della sfera privata e della riservatezza delle comunicazioni, da una parte, ed il diritto alla difesa, dall’altra (in questo senso, Cass. n. 31204 del 2021, qui commenta in Si può registrare una conversazione tra colleghi?).
Nel caso affrontato dalla recente Cassazione 28398/2022, la sentenza della Corte territoriale, pur citando i precedenti di legittimità ora richiamati, aveva deciso di discostarsene sul presupposto che le registrazioni delle conversazioni prodotte fossero di per sé “abusive e illegittimamente captate e registrate”. Il Giudice di merito, dunque, non aveva in alcun modo indagato sulla ricorrenza dei requisiti ai quali la Corte subordina la legittimità delle registrazioni di conversazioni tra presenti, senza farsi carico del contemperamento dei concorrenti diritti fondamentali e senza fornire alcuna spiegazione della soluzione adottata.
Tali adempimenti, secondo la Suprema Corte, erano tanto più necessari nel caso di specie, in relazione alle difficoltà di assolvimento dell’onere probatorio gravante sul lavoratore che, in quel caso, aveva denunciato la ritorsività del licenziamento intimatogli.
Il ricorso proposto in via incidentale dal lavoratore è stato così accolto e la sentenza cassata con rinvio.