Responsabilità della Cina per covid: le SU dichiarano il difetto di giurisdizione del giudice italiano

Secondo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, il giudice italiano non può giudicare la condotta addebitata alla Cina nella gestione della diffusione del covid per effetto del riconoscimento dell’immunità (ord. n. 16136 dell’11 giugno 2024).

La domanda e la tesi della ricorrente

La ricorrente aveva convenuto in giudizio dinanzi al Giudice di Pace di Frosinone la Repubblica Popolare di Cina affinché, previo accertamento della sua responsabilità, fosse condannata al risarcimento del danno, quantificato nei limiti della competenza del giudice adito.

Ella aveva dedotto di aver perso la madre, deceduta seguito del contagio da covid 19, nel marzo 2020 e di essersi anche lei ammalata tanto da essere sottoposta ad intubazione. L’attrice aveva dedotto che solo in data 31 dicembre 2019 le autorità sanitarie della Repubblica Popolare Cinese avevano comunicato all'OMS l'esistenza di alcuni casi di polmonite ad eziologia non nota nella città di Wuhan e che solo in data 22 gennaio 2020 detta città, a seguito del diffondersi della patologia, era stata posta in stato di quarantena. Secondo la prospettiva della ricorrente, alla luce di quanto era emerso da una serie di fonti giornalistiche, la diffusione del coronavirus era da far risalire ad una data notevolmente anteriore a quella in cui la convenuta si era invece attivata, e, prima della comunicazione ufficiale, vi era stato il tentativo di impedire la diffusione di notizie ed informazioni circa quanto stava accadendo in Cina, con l'occultamento di una situazione sanitaria di gravità ben maggiore di quella rappresentata.

Pertanto, la responsabilità della convenuta derivava dalla violazione degli obblighi scaturenti dal Regolamento Sanitario Internazionale (IHR), entrato in vigore il 15 giugno 2007. Quest’ultimo, al fine di creare un sistema globale di allerta e risposta, avrebbe imposto ai singoli stati aderenti, tra cui anche la Cina, di valutare gli eventi verificatisi all'interno del proprio territorio ed aventi incidenza sulla sanità, provvedendo quindi alla notifica di quelli di potenziale interesse, anche con causa o fonte sconosciuta, all'OMS nel termine di 24 ore dalla valutazione.

La reazione della Cina sarebbe stata, dunque, intempestiva, con conseguente violazione degli obblighi internazionali.

Analoga violazione sarebbe derivata dal commercio illegale di animali selvatici, tra cui il pangolino, il quale, secondo alcuni studiosi, avrebbe diffuso nell'uomo il coronavirus responsabile della pandemia, nonché dalla violazione del Memorandum di intesa intervenuto tra il Ministero della Salute italiano e l'Amministrazione generale delle Dogane della convenuta, per la cooperazione in materia di sanità transfrontaliera.

Secondo la prospettiva della ricorrente, queste plurime violazioni avrebbero costituito crimini internazionali di guerra, tali da escludere la possibilità per la convenuta diinvocare a proprio favore l'immunità.

Nella contumacia della convenuta, avendo il giudice adito invitato l’attrice ad interloquire sulla questione della giurisdizione, la ricorrente aveva proposto ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione.

Atti iure imperii e iure gestionis

Dopo aver richiamato la nota distinzione tra atti iure imperii e iure gestionis, la Corte ha precisato che le condotte, molte delle quali meramente omissive, sulle quali si basava la domanda attorea, erano espressive di attività iure imperii.

A questo riguardo, la Cassazione ha richiamato quanto affermato dalle medesime Sezioni Unite che hanno ritenuto spettare alla cognizione del giudice amministrativo la domanda di condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero della Salute al risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla compressione dei diritti fondamentali attuata durante il periodo dell'emergenza epidemiologica da Covid-19 e fondata sulla pretesa inadeguatezza della gestione ed organizzazione del servizio sanitario nazionale, rientrando nella sua giurisdizione esclusiva le controversie relative all'esercizio del potere amministrativo discrezionale concernente la gestione e l'organizzazione di un servizio pubblico (Cass. S.U. n. 18540/2023).

Nel caso di specie, le condotte asseritamente idonee ad ingenerare la responsabilità della Cina – secondo la Corte - sarebbero ricollegate all'esercizio di potestà pubblicistiche, anche laddove venisse imputata l'inerzia nel dare attuazione ad impegni assunti sul piano internazionale.

L’immunità

Se, secondo la difesa della ricorrente, non poteva essere invocata l’immunità di diritto consuetudinario internazionale, secondo la Corte il percorso argomentativo proposto non sarebbe condivisibile.

Le stesse condotte che fonderebbero la responsabilità della Repubblica Popolare di Cina, quali individuate nell'atto di citazione, anche ove reputate in ipotesi idonee a configurare una violazione degli impegni assunti sul piano del diritto internazionale, secondo la Corte, non potrebbero  essere valutate alla stregua della commissione di crimini internazionali, la cui iniziale descrizione risale all'accordo di Londra del 1945 (istitutivo del Tribunale di Norimberga per la punizione dei criminali nazisti), e che oggi si rinviene essenzialmente nelle previsioni di cui agli artt. 5-8 dello Statuto della Corte penale internazionale.

Una volta esclusa la ricorrenza del delitto di genocidio, di crimini di guerra e di aggressione, l'art. 7 individua una serie di condotte (omicidio, riduzione in schiavitù, deportazione o trasferimento forzato di popolazioni, privazione di libertà, in violazione di norme fondamentali del diritto internazionale, tortura, violenza carnale, prostituzione forzata ed altre forme di violenza sessuale, persecuzioni per motivi politici, razziali, religiosi, di sesso, ecc., sparizione forzata di persone, apartheid, altri atti disumani o simili, capaci di causare sofferenze di carattere fisico o psichico, purché però perpetrati come parte di un esteso o sistematico attacco diretto contro una popolazione civile).

Orbene, i fatti riportati nell’atto di citazione, secondo la Corte, non corrisponderebbero alla definizione del diritto internazionale di crimini contro l'umanità, sia in ragione della mancata corrispondenza tra gli stessi e quelli esemplificativamente contenuti dell'art. 7 dello Statuto della Corte penale internazionale, sia per l'assenza della finalità che deve caratterizzare le varie condotte imputate al responsabile.

Secondo le Sezioni Unite, neppure potrebbe giustificare la deroga al principio dell'immunità la circostanza che la condotta della convenuta, ove ne fosse accertata la contrarietà alle norme internazionali richiamate in citazione, abbia determinato la lesione di diritti anche fondamentali dell'individuo, come quello alla salute poiché “il principio dell'immunità per gli atti iure imperii non trova deroga neppure in presenza di attività idonee a ledere o a porre in pericolo la vita, l'incolumità personale e la salute dei cittadini dello Stato. Solo la immediata, diretta e deliberata aggressione ai diritti fondamentali potrebbe porre in dubbio il riconoscimento dell'immunità

Le conclusioni

La Corte ha così dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano relativamente alla domanda proposta, per effetto del riconoscimento dell'immunità in favore della convenuta.

Con un’interessante apertura alla comparazione, la Corte ha richiamato, infine, la giurisprudenza nordamericana. In particolare, si legge nella pronuncia, le stesse conclusioni sarebbero state raggiunte dalla Corte d'Appello dello Stato del Missouri, la quale, con decisione del 10 gennaio 2024, relativamente ad una analoga domanda risarcitoria, esperita dallo Stato, ha profilato una "absolute lack of

jurisdiction" quale “conseguenza necessaria della regola dell'immunità in ordine agli atti iure imperii di uno Stato straniero che non sono preordinati alla lesione di diritti fondamentali della persona, come quelli posti in essere - più che altro in forma omissiva - dagli organi di governo cinesi durante la pandemia”.

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Maria Santina Panarella
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