Riserva mentale nel matrimonio: è configurabile un danno ingiusto ex art. 2043 c.c.?

Non rappresenta fatto costitutivo di responsabilità risarcitoria l’omessa comunicazione da parte di uno dei due coniugi, prima della celebrazione del matrimonio, dello stato psichico di concreta incertezza circa la permanenza del vincolo matrimoniale e della scelta di contrarre matrimonio con la riserva mentale di sperimentare la possibilità che il detto vincolo non si dissolva.

Questo è il principio di diritto enunciato in una recente ordinanza dalla Corte di Cassazione (n. 28390 pubblicata il 5 novembre 2024). Mediante un’interessantissima motivazione, la Corte ha escluso l’applicabilità della responsabilità aquiliana nel caso di riserva mentale nel matrimonio.

Nella vicenda pervenuta all’esame della Suprema Corte, il ricorrente aveva convenuto in giudizio l’ex coniuge chiedendo il risarcimento del danno per aver questa celato la determinazione di sposarsi ‘per prova’. In entrambi i gradi di merito, la responsabilità risarcitoria era stata esclusa sulla base di una motivazione che è stata condivisa dalla Cassazione.

La Corte ha richiamato, in primo luogo, quanto affermato, in generale, dalla nota pronuncia n. 500 del 1999 delle Sezioni Unite secondo la quale “ai fini della configurabilità della responsabilità aquiliana non assume rilievo determinante la qualificazione formale della posizione giuridica vantata dal soggetto, poiché la tutela risarcitoria è assicurata solo in relazione alla ingiustizia del danno, che costituisce fattispecie autonoma, contrassegnata dalla lesione di un interesse giuridicamente rilevante”. Per tale ragione, non è possibile stabilire a priori quali siano gli interessi meritevoli di tutela: caratteristica del fatto illecito delineato dall’art. 2043 c.c. è, infatti, la sua atipicità.

Compito del giudice, chiamato ad attuare la tutela ex art. 2043 c.c., è – come ricorda la Corte - quello di procedere ad una selezione degli interessi giuridicamente rilevanti. Solo la lesione di un interesse di questo tipo può dare luogo ad un danno ingiusto. Il Giudice, nel selezionare gli interessi giuridicamente rilevanti,  svolge un giudizio di comparazione degli interessi in conflitto, e cioè “dell'interesse effettivo del soggetto che si afferma danneggiato, e dell'interesse che il comportamento lesivo dell'autore del fatto è volto a perseguire, al fine di accertare se il sacrificio dell'interesse del soggetto danneggiato trovi o meno giustificazione nella realizzazione del contrapposto interesse dell'autore della condotta, in ragione della sua prevalenza”.

La necessità della comparazione deriva dalla circostanza che, nella nozione di ingiustizia di cui all’art. 2043 c.c., deve essere considerato il comportamento del danneggiante. La comparazione si risolve, così, secondo la Cassazione “nella prevalenza dell’interesse della vittima, reputato rilevante all’ordinamento giuridico, che è la sfera dove si colloca il danno, laddove tuttavia manchi un interesse normativamente protetto in capo al soggetto che, chi promuove l’azione di responsabilità, identifica come danneggiante”.

In poche parole – soggiunge la Corte - la responsabilità risarcitoria discende dall’ingiustizia del danno, non dalla antigiuridicità della condotta, alla luce dell’atipicità dell’illecito aquiliano quale protezione della situazione soggettiva rilevante per l’ordinamento giuridico. Tuttavia, “l’interesse non riceve la protezione derivante dalla clausola generale del danno ingiusto se ciò che per l’ordinamento deve essere tutelato, in base alla sua valutazione di prevalenza, è l’interesse dell’autore della condotta asseritamente pregiudizievole, in realtà non produttiva di un danno ingiusto, proprio per la prevalenza dell’interesse di chi agisce”.

Orbene, la libertà matrimoniale è un diritto della personalità, sancito anche dall’art. 12 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Sebbene il matrimonio sia un atto di autonomia privata, non può esservi attribuito l’effetto impegnativo del vincolo di cui all’art. 1372 c.c. alla luce del diritto di chiedere la separazione giudiziale in presenza di un fatto tale da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza.

L’atto di impegno matrimoniale – si legge nella pronuncia - è rimesso alla libera e responsabile scelta del soggetto, quale espressione della piena libertà di autodeterminarsi al fine della celebrazione del matrimonio. E tale libertà “non può essere limitata da un obbligo giuridico di comunicare alla propria controparte uno stato soggettivo quale l’incertezza circa la permanenza del vincolo matrimoniale, avvertendo il soggetto il rischio concreto della sua dissoluzione ed effettuando la scelta matrimoniale nella consapevolezza di tale rischio, ciò che in altri termini comporta un tentativo o prova di convivenza matrimoniale”. Affinché tale libertà non sia compromessa dall’incombenza di una conseguenza quale la responsabilità risarcitoria derivante dall’inottemperanza ad un dovere giuridico, la comunicazione in discorso, in quanto relativa alla sfera personale affettiva, può comportare esclusivamente un dovere morale o sociale. Alla luce della libertà della scelta matrimoniale, dalla mancata comunicazione dello stato d’animo di incertezza non emerge un interesse della controparte meritevole di tutela da parte dell’ordinamento con il riconoscimento del rimedio risarcitorio.

Da qui la conclusione secondo la quale la riserva mentale circa la concreta possibilità della dissoluzione del matrimonio è improduttiva di effetti per l’ordinamento italiano, sia dal lato del coniuge portatore della riserva, che non può avvantaggiarsene fino a conseguire la nullità del matrimonio, sia dal lato dell’altro coniuge, che non è titolare di un interesse meritevole di tutela risarcitoria, per avere fatto affidamento sulla mancanza di quella riserva.

Qui in calce il testo integrale dell’ordinanza.

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Maria Santina Panarella
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