Se l’intervento si pone al di fuori di quanto consentito dal paziente, opera il principio del dissenso presunto

A fronte della violazione del diritto all’autodeterminazione, opera il principio del dissenso presunto del paziente in relazione a tutto ciò che si pone al di là e al di fuori rispetto ai trattamenti medico chirurgici che egli abbia consentito di effettuare sul proprio corpo, a meno che il diverso e più invasivo intervento sia giustificato da una situazione di urgenza.

Questo è l’interessante principio enunciato dalla Corte di Cassazione in relazione ad un caso di responsabilità medica (Cass. ord. 21 gennaio 2025, n. 1443).

La ricorrente aveva proposto domanda di risarcimento del danno alla salute e da violazione del diritto all'autodeterminazione per essere stata sottoposta ad un intervento chirurgico diverso e più invasivo rispetto a quello programmato, che non era giustificato da un’ipotesi di urgenza e che, oltretutto, non aveva prodotto alcun miglioramento nelle sue condizioni di salute.

Il Tribunale aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale, biologico, morale e da violazione del diritto all'autodeterminazione. Il Giudice aveva accertato che, effettivamente, l'attrice non era stata informata che, in luogo del programmato intervento, sarebbe stato eseguito il ben più invasivo intervento di fatto portato a termine, ma aveva ritenuto non provato che la paziente, ove fosse stata informata dell'intenzione dei medici di eseguire l'intervento più invasivo, avrebbe rifiutato il suo consenso.

La Corte d’appello aveva poi rigettato l’impugnazione sull’assunto che non esisterebbe un danno in re ipsa da omessa informazione e che la paziente non aveva provato, neanche con elementi presuntivi, che, ove correttamente informata, avrebbe rifiutato l’intervento più invasivo.

L’attrice si è così rivolta alla Corte di Cassazione, denunciando, tra le altre cose, l’omessa pronuncia da parte della Corte d’appello sul motivo relativo alla inutilità dell’intervento non consentito che aveva avuto effetti peggiorativi.

La Cassazione, nell’accogliere la censura, ha rilevato che, in effetti, la Corte territoriale non aveva approfondito affatto, sotto il profilo delle responsabilità che ne scaturiscono, la questione della inutilità dell'intervento, limitando il proprio accertamento alla mancanza di prova del fatto che la paziente avrebbe rifiutato il diverso intervento se le fosse stato proposto.

Tuttavia – secondo la Corte - questa affermazione è errata in diritto, sul piano della distribuzione degli oneri probatori ad essa sottostanti. La Corte d'Appello aveva considerato irrilevante, appunto ai fini del riparto dell’onere della prova, il dato, incontestato, che la paziente fosse stata sottoposta - a sua insaputa e fuori da una situazione di urgenza - ad un intervento ben più complesso ed invasivo di quello programmato e consentito.

Peraltro, secondo la Cassazione, il giudice di appello, così facendo, non aveva considerato che, in tale situazione, non grava sul paziente l'onere di provare che, ove fosse stato informato del più complesso intervento che i medici avevano in animo di eseguire, non vi avrebbe consentito. Al contrario, a fronte della allegazione della paziente che il suo consenso sarebbe stato circoscritto a quanto programmato e non oltre, era a carico della struttura l'onere di provare che ella avrebbe dato il consenso al secondo e più invasivo intervento, non necessitato dall'urgenza, in quanto, come anticipato, “a fronte della violazione del diritto di autodeterminazione, opera il principio del dissenso presunto del paziente in relazione a tutto ciò che si pone al di là e al di fuori rispetto ai trattamenti medico chirurgici che abbia consentito di effettuare sul proprio corpo, a meno che - e non è questo il caso - il diverso e più invasivo intervento sia giustificato da una situazione di urgenza”.

Il ricorso è stato accolto con rinvio alla Corte territoriale.

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Maria Santina Panarella
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