La possibilità per il danneggiato di introdurre un giudizio autonomo, inteso ad ottenere il risarcimento del danno da esecuzione illegittima, non è frutto di una libera scelta della parte, bensì dell’impossibilità di percorrere altre strade.
Questa è la risposta ribadita dalla Corte di Cassazione in una recente ordinanza (Cass. 31 dicembre 2021, n. 42119).
La questione riguarda il caso in cui il pignoramento è stato eseguito dal creditore “senza la normale prudenza”, determinando, così, un danno che deve essere risarcito.
Si tratta di un caso di responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c.
Secondo un insegnamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità, i primi due commi dell’art. 96 c.p.c. regolano due diverse fattispecie di responsabilità processuale:
Alle due diverse previsioni corrispondono diversi presupposti. Infatti, come è noto, mentre il 1° comma esige la sussistenza della mala fede o della colpa grave, il 2° comma può trovare applicazione anche in caso di colpa lieve (senza la normale prudenza).
Come è stato del pari affermato (cfr., in particolare, Cass. 30 luglio 2010, n. 17902), il maggior rigore del 2° comma “si giustifica alla luce della gravità degli effetti ricollegabili ad iniziative che incidono direttamente sul patrimonio del debitore”.
La giurisprudenza della Suprema Corte è da tempo consolidata nel senso di ricondurre la responsabilità aggravata di cui all’art. 96 c.p.c. ad una particolare forma di illecito la cui regolazione assorbe quella dell’art. 2043 c.c., ponendosi l’art. 96 c.p.c. in termini di specialità rispetto alla norma generale sulla responsabilità civile (cfr. Sezioni Unite, sentenza 6 febbraio 1984, n. 874, nonché, tra le altre, sent. nn. 13455/2010 e 17523/2011).
Quali sono, allora, le strade citate dalla Cassazione nella pronuncia citata che il danneggiato può percorrere?
Le Sezioni Unite della Suprema Corte, nel comporre i precedenti contrasti, nella sentenza n. 2547/2021, avevano già affermato che l’istanza con la quale si chiede il risarcimento dei danni, ai sensi dell'art. 96, comma 2, c.p.c., per aver intrapreso o compiuto l’esecuzione forzata senza la normale prudenza (in forza di un titolo esecutivo di formazione giudiziale non definitivo, successivamente caducato) deve essere proposta, di regola, in sede di cognizione, ossia nel giudizio in cui si è formato o deve divenire definitivo il titolo esecutivo, ove quel giudizio sia ancora pendente e non vi siano preclusioni di natura processuale. Nel caso in cui sussista quest’ultima ipotesi, la domanda andrà formulata al giudice dell’opposizione all’esecuzione, e “solamente quando sussista un’ipotesi di impossibilità di fatto o di diritto alla proposizione della domanda anche in sede di opposizione all’esecuzione, potrà esserne consentita la proposizione in un giudizio autonomo”.
In sintesi, dunque:
Il punto di arrivo è sempre lo stesso (il risarcimento), ma solo una strada sarà quella corretta.