Capita, non di rado, che un lavoratore registri conversazioni sul posto di lavoro al fine di precostituirsi una prova per far valere un proprio diritto (sull’argomento si veda anche “La registrazione di conversazioni da parte del lavoratore tra diritto di difesa e tutela della riservatezza”). Ma si tratta di una condotta legittima?
In una recente pronuncia (Cass. 31204 del 2 novembre 2021), la Suprema Corte ha confermato l’importanza di un bilanciamento equilibrato tra i due diritti fondamentali che vengono in rilievo.
Già in riferimento all’art 24 del d.lgs. n. 196/2003, la Corte aveva sottolineato la possibilità di prescindere dal consenso dell’interessato quando il trattamento dei dati, pur non riguardanti una parte del giudizio in cui la produzione veniva eseguita, fosse necessario per far valere o difendere un diritto, a condizione che gli stessi fossero trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento (Cass. 20 settembre 2013, n. 21612).
Nella pronuncia citata, la Corte ha ribadito che l’utilizzo a fini difensivi di registrazioni di colloqui tra il dipendente ed i colleghi sul luogo di lavoro non necessita del consenso dei presenti, “in ragione dell’imprescindibile necessità di bilanciare le contrapposte istanze della riservatezza da una parte e della tutela giurisdizionale del diritto dall'altra e pertanto di contemperare la norma sul consenso al trattamento dei dati con le formalità previste dal codice di procedura civile per la tutela dei diritti in giudizio”.
Da qui la legittimità (nel senso della inidoneità all’integrazione di un illecito disciplinare) della condotta del lavoratore che abbia effettuato tali registrazioni per tutelare la propria posizione all’interno dell’azienda e per precostituirsi un mezzo di prova, “rispondendo la stessa, se pertinente alla tesi difensiva e non eccedente le sue finalità, alle necessità conseguenti al legittimo esercizio di un diritto”.
Si tratta, all’evidenza, di un profilo estremamente delicato, che esige, come si accennava, un attento ed equilibrato bilanciamento tra la tutela di due diritti fondamentali: la garanzia della libertà personale, sotto il profilo della sfera privata e della riservatezza delle comunicazioni, da una parte e del diritto alla difesa, dall’altra.
E tale bilanciamento deve essere fondato su una valutazione rigorosa del requisito di pertinenza, nella prospettiva di una diretta e necessaria strumentalità della registrazione alla preparazione della finalità difensiva, all’interno di una scrupolosa contestualizzazione della vicenda.
Questa conclusione è, del resto, coerente alla cornice dei diritti fondamentali delineata dalla Costituzione.
Il diritto di difesa, costituzionalmente protetto (art. 24 Cost.), non può essere limitato alla pura e semplice sede processuale; piuttosto, lo stesso deve estendersi a tutte quelle attività dirette ad acquisire prove poi utilizzabili, ancor prima che la controversia sia stata formalmente instaurata.