La sussidiarietà dell’azione di ingiustificato arricchimento va valutata in relazione alle peculiarità del caso concreto: questa, in estrema sintesi, è l’indicazione metodologica impartita dalla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, n. 33954 del 5 dicembre 2023.
In particolare, e confrontandosi con il tema specificamente rimessole dall’ordinanza interlocutoria n. 5222 del 20 febbraio 2023 (sulla quale ci si era soffermati in La sussidiarietà dell’azione di ingiustificato arricchimento. In attesa della Sezioni Unite, a proposito di una sentenza della Suprema Corte, la n. 13203 del 15 maggio 2023, intervenuta poco dopo la predetta ordinanza), la pronuncia qui richiamata afferma che la valutazione del presupposto della sussidiarietà dell’azione di arricchimento ingiustificato deve essere svolta a prescindere dalla natura dell’azione che poteva essere fatta valere in via principale e dunque anche quando quest’ultima si fondi su una clausola generale, quali quelle racchiuse nell’art. 1337 c.c. o nell’art. 2043 c.c. Tuttavia, il predetto presupposto deve essere esaminato tenendo conto della peculiarità della vicenda e dunque anche con un apprezzamento in concreto, che potrà condurre, ad esempio, a ritenere ammissibile la domanda di ingiustificato arricchimento quando il titolo contrattuale su cui si sarebbe potuta fondare la domanda principale sia nullo, ma solo se la nullità non dipenda da illiceità del contratto per contrasto con norme imperative o con l’ordine pubblico.
Per maneggiare correttamente la questione della sussidiarietà dell’azione di ingiustificato arricchimento, occorre, poi, distinguere – questo è quanto appunto affermano le Sezioni Unite - tra le ipotesi in cui “il rigetto derivi dal riconoscimento della carenza ab origine dei presupposti fondanti la domanda cd. principale, da quelli in cui derivi dall’inerzia dell’impoverito ovvero dal mancato assolvimento di qualche onere cui la legge subordinava la difesa di un suo interesse”. Nel primo caso, “il rigetto per accertamento della carenza ab origine del titolo fondante la domanda cd. principale comporta che quello che appariva un concorso da risolvere ex art. 2042 c.c. in favore della domanda principale si rivela essere in realtà un concorso solo apparente, in quanto deve escludersi la stessa ricorrenza di un diritto suscettibile di essere dedotto in giudizio”, che determinerebbe l’improponibilità della domanda ex art. 2041 c.c. Al contrario,“il rigetto della domanda, correlato al mancato assolvimento dell’onere della prova in relazione alla sussistenza del pregiudizio, non esclude che il diverso titolo sussista e che quindi sia preclusa la domanda fondata sulla clausola residuale”.
Sulla base di queste indicazioni, dunque, resta precluso “l’esercizio dell’azione di arricchimento ove l’azione suscettibile di proposizione in via principale sia andata persa per un comportamento imputabile all'impoverito e, quindi, con riferimento ai casi di più frequente applicazione, per la prescrizione ovvero per la decadenza”.
Sul piano dei rapporti tra l’azione aquiliana ex art. 2043 c.c. e l’azione di ingiustificato arricchimento, la circostanza che le differenze tra le due azioni si colgano sul piano della estraneità ai requisiti della seconda della lesione di una specifica situazione giuridica soggettiva e dell’elemento soggettivo dell’illecito, consentirà di dischiudere la strada all’azione di ingiustificato arricchimento in presenza di uno spostamento patrimoniale ingiustificato, prodottosi tuttavia in assenza della lesione, qualificata appunto dall’elemento soggettivo, di un interesse protetto dall’ordinamento: in questi casi, peraltro, l’eventuale accoglimento dell’azione sussidiaria sarà limitato al danno emergente ed entro l’ambito dell’arricchimento della controparte.
E’, dunque, necessario guardare alla concretezza delle singole situazioni, così da rispettare sia la ratio, attenta all’esigenza della certezza del diritto, che è alla base della sussidiarietà dell’azione di arricchimento ingiustificato, sia l’esigenza dell’equità che impone la tutela dell’ingiustamente impoverito privo ab origine di un rimedio previsto dalla legge; senza accreditare argomentazioni imperniate su una valutazione della sussidiarietà in astratto dell’azione, che potrebbero dare luogo ad un uso strumentale del richiamo alla regola di residualità da parte del convenuto in giudizio con l’azione di arricchimento.
Non resta che attendere l’applicazione, nel merito delle singole vicende controverse, dei principi di diritto accreditati dalle Sezioni Unite per verificare se questi ultimi saranno in grado di imprimere un assetto operativo sufficientemente preciso ad un istituto da sempre fascinoso, ma incerto, perché collocato lungo la linea di confine tra l’applicazione dello strictum ius e l’utilizzazione di rimedi equitativi volti a porre riparo agli esiti incongrui delle rigidità del medesimo.