La sentenza della Cassazione n. 28215 del 4 novembre 2024 ha ribadito il principio secondo cui la comunicazione inviata dalla banca alla correntista dell'avvenuta pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del sistema di pari periodicità degli interessi attivi e passivi adottato dalla banca medesima è inidonea a rendere lecita la capitalizzazione degli interessi.

La questione, tra le altre, sottoposta all’esame del Supremo Collegio attiene alla efficacia, per il periodo successivo al 1° luglio 2000, delle clausole dei contratti di conto corrente stipulati anteriormente che prevedono la capitalizzazione degli interessi passivi.

La sentenza muove dalla disamina dell’evoluzione normativa in materia, e del susseguente dibattito giurisprudenziale.

Giova evidenziare che, a seguito delle note pronunce della Suprema Corte del 17 marzo 1999, n. 2374 e del 30 marzo 1999 n. 3096 - che hanno modificato l’interpretazione, sino ad allora prevalente, circa la natura di uso normativo della capitalizzazione trimestrale degli interessi – il Legislatore, con l'art. 25, secondo comma, D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 342, ha modificato l’art. 120 del D. Lgs. 385/1993 (TUB), attribuendo al CICR il potere di stabilire “modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria”, all’unica condizione che sia assicurata alla clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi debitori e creditori.

Il successivo terzo comma del predetto art. 25, senza formalmente modificare il testo unico bancario, ha, poi, stabilito che le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della suddetta delibera del CICR sono valide ed efficaci sino a tale data, mentre, successivamente, debbono essere adeguate, a pena di inefficacia da farsi valere solo dal cliente, al disposto della menzionata delibera, secondo modalità e tempi in essa previsti.

Tale ultima disposizione è stata dichiarata incostituzionale per eccesso di delega con sentenza della Corte Costituzionale del 17 ottobre 2000, n. 425.

Il CICR, con delibera del 9 febbraio 2000, in virtù della delega conferita dal comma 2 dell’art. 25 D.Lgs. 342/99, aveva, nelle more, dettato modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi scaduti nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria e finanziaria.

Tale delibera ha, tra l'altro, introdotto il principio per cui nell'ambito di ogni singolo conto corrente può essere pattuita la capitalizzazione degli interessi alla condizione che la stessa presenti la stessa periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori e ha previsto, all'art. 7, quale disposizione transitoria, che “le condizioni applicate sulla base dei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della presente delibera devono essere adeguate alle disposizioni in questa contenute entro il 30 giugno 2000 e i relativi effetti si producono a decorrere dal successivo 1° luglio” e che “qualora le nuove condizioni contrattuali non comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, le banche e gli intermediari finanziari, entro il medesimo termine del 30 giugno 2000, possono provvedere all’adeguamento, in via generale, mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana. Di tali nuove condizioni deve essere fornita opportuna notizia per iscritto alla clientela alla prima occasione utile e, comunque, entro il 31 dicembre 2000” (3° comma).

Si è andato quindi affermando nella giurisprudenza di legittimità un orientamento (risalente alla sentenza n. 9140 del 19 maggio 2020), secondo il quale è " In ragione della pronuncia di incostituzionalità dell' art. 25, comma 3, del d.lgs. n. 342 del 1999 , le clausole anatocistiche inserite in contratti di conto corrente conclusi prima dell'entrata in vigore della delibera CICR 9 febbraio 2000 sono radicalmente nulle, con conseguente impraticabilità del giudizio di comparazione previsto dal comma 2 dell'art. 7 della delibera del CICR teso a verificare se le nuove pattuizioni abbiano o meno comportato un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, sicché in tali contratti perché sia introdotta validamente una nuova clausola di capitalizzazione degli interessi, è necessaria una espressa pattuizione formulata nel rispetto dell'art. 2 della predetta delibera".

Conseguentemente, l'operazione di raffronto tra le condizioni anteriori e quelle nuove, imposta dalla delibera CICR ai fini della valutazione del carattere peggiorativo delle seconde, ostativo della possibilità di provvedere all'adeguamento contrattuale mediante pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, è "inattuabile". Infatti, "le condizioni indicate dalla disposizione della delibera CICR circa la pari periodicità del conteggio degli interessi stessi non possono essere confrontate con una valida disposizione anatocistica, contenuta nel contratto di conto corrente, da considerarsi tamquam non esset".

Tale orientamento è stato ripetutamente ribadito nella giurisprudenza di legittimità successiva (cfr., tra le altre, Cass. 12 marzo 2020, n. 7105; Cass. 5 maggio 2021, n. 23489; Cass. 21 giugno 2021, n. 17634; Cass. 1° marzo 2023, n. 19396; Cass. 18 ottobre 2023, n. 35210).

Si registrano, invero, anche interventi di segno contrario nella giurisprudenza di legittimità. In particolare, due recenti pronunce del Supremo Collegio – ordinanze n. 5054 e n. 5064 del 26 febbraio 2024 - affermano la possibilità dell'adeguamento contrattuale alle nuove condizioni mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e comunicazione al correntista all'esito di una "valutazione relazionale tra le nuove e le vecchie condizioni del contratto, non anche invece... tra le nuove condizioni e quelle anteriori epurate da ogni forma di capitalizzazione".

La sentenza in commento si confronta con tale orientamento, ritenendo che “Le richiamate ordinanze nn. 5054 e 5064 del 2024 non prendono, tuttavia, in considerazione il diverso orientamento giurisprudenziale espresso dalla sentenza n. 9140 del 2020 (e dalle conformi successive ordinanze) che hanno escluso la possibilità per le banche di procedere all'adeguamento contrattuale mediante la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e la comunicazione al correntista non già in ragione di una valutazione comparativa espressiva del carattere peggiorativo delle nuove condizioni rispetto a quelle precedenti, esito della nullità di queste ultima e, dunque, dell'assenza di una valida ed efficace pattuizione anatocistica, quanto in virtù della impraticabilità di una siffatta comparazione discendente proprio dalla mancanza di uno dei termini di raffronto a causa della nullità della relativa previsione negoziale”. Le pronunce invocate nel ricorso – conclude la sentenza in esame - deciso dall’ordinanza in esame “non offrono utili elementi di critica del consolidato orientamento giurisprudenziale”.

La Corte, dunque, ritiene di dover dare continuità all’orientamento secondo cui  la comunicazione inviata dalla banca al correntista dell'avvenuta pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del sistema di pari periodicità degli interessi attivi e passivi adottati dalla banca medesima è inidonea a rendere lecita la capitalizzazione degli interessi, pur in assenza della prova della conoscenza da parte della correntista di tale comunicazione (avvenuta mediante invio dell'estratto conto) e in virtù di una determinazione unilaterale della banca.

In tema di mutuo bancario, a tasso fisso, con rimborso rateale del prestito regolato da un piano di ammortamento «alla francese», “non è causa di nullità parziale del contratto la mancata indicazione della modalità di ammortamento e del regime di capitalizzazione «composto» degli interessi debitori, per indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto del contratto né per violazione della normativa in tema di trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti tra gli istituti di credito e i clienti”.

Questo il principio affermato dalle Sezioni Unite, con sentenza del 29 maggio 2024, n. 15130, a seguito di rinvio pregiudiziale disposto, ai sensi dell’art. 363 bis c.p.c., dal Tribunale di Salerno (decreto del 19 luglio 2023).

La questione di diritto sottoposta al vaglio delle Sezioni Unite è se, in presenza di un mutuo a tasso fisso con piano di ammortamento c.d. «alla francese» allegato al contratto, il contratto debba contenere, a pena di nullità, anche l’esplicitazione del regime di ammortamento e della eventuale maggiore onerosità del suddetto piano rispetto ad altri piani di ammortamento. In particolare, le Sezioni Unite sono state chiamate a valutare se, in mancanza di detta indicazione, il contratto sia affetto da nullità parziale per indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto del contratto (art. 1346 c.c.) e/o per violazione della trasparenza delle condizioni contrattuali (art. 117 T.u.b.).

La Corte – risolto positivamente il vaglio di ammissibilità del rinvio pregiudiziale – muove dalla illustrazione delle caratteristiche del piano di ammortamento «alla francese», in forza del quale “il mutuatario si obbliga a pagare rate di importo sempre identico composte dagli interessi, calcolati sin da subito sull’intero capitale erogato e via via sul capitale residuo, e da frazioni di capitale quantificate in misura pari alla differenza tra l’importo concordato della rata costante e l’ammontare della quota interessi”. Pertanto, il “rimborso delle frazioni di capitale conglobate nella rata in scadenza produce l’abbattimento del capitale (debito) residuo e la riduzione del montante sul quale sono calcolati gli interessi (maturati nell’anno), determinando così la progressiva diminuzione della quota (della rata successiva) ascrivibile agli interessi e il corrispondente aumento della quota ascrivibile a capitale e così via”.

Il piano così conformato prevede, dunque, il “pagamento del debito a «rate costanti» comprensive di una quota capitale (crescente) e di una quota interessi (decrescente)”.

L’ordinanza di rinvio ha evidenziato che, nel regime di capitalizzazione “composto”, “l’interesse prodotto in ogni periodo si somma al capitale e produce a sua volta interessi” (pag. 8), implicando, conseguentemente, “una maggiore onerosità del costo del denaro preso a prestito… in quanto la produzione di interessi su interessi costituisce, di per sé, un maggior costo” (pag. 11).

Su queste premesse, il Tribunale di Salerno ha posto in dubbio la determinatezza dell’oggetto ex art. 1346 c.c. e la trasparenza del contratto ex art. 117 t.u.b., nel caso di mancata esplicitazione del regime di ammortamento.

La sentenza in commento, prima di delibare le questioni poste dall’ordinanza di rinvio, evidenzia, innanzi tutto, come debba escludersi che l’ammortamento «alla francese» produca un effetto anatocistico, rilevando, nel solco delle osservazioni proposte dalla Procura Generale, che “l’ammortamento alla francese prevede che l’obbligazione per interessi sia calcolata sin da subito sull’intero capitale erogato benché quest’ultimo non sia ancora integralmente esigibile”, ma allo stesso tempo prevede che “la quota capitale è incrementata con gli interessi generati, però, non (necessariamente) su altri interessi ma sul capitale (debito) residuo, né destinati (necessariamente) a generare a loro volta (diventando parte della somma fruttifera di) ulteriori interessi nel periodo successivo” (v., negli stessi termini, Cass. n. 13144/2023).

Sotto altro profilo la Corte – nello scrutinare la validità dell’ammortamento «alla francese» sotto il profilo della meritevolezza dell’interesse ex art. 1322, co. 2, c.c. – conclude che è legittimo “che gli interessi diventino convenzionalmente esigibili prima che diventi esigibile (in tutto o in parte) il capitale, potendo le parti convenzionalmente stabilire che gli interessi si versino nel corso del rapporto prima del capitale o in un’unica soluzione alla fine del rapporto contestualmente al rimborso del capitale (artt. 1815 e 1820 c.c.)”.   

Da tali prospettazioni di carattere generale, discendono le conclusioni cui pervengono le Sezioni Unite in relazione alle questioni sottoposte al loro vaglio.

Con riguardo alla questione della determinabilità dell’oggetto del contratto, la sentenza in commento esclude che l’omessa indicazione del regime di capitalizzazione «composto» degli interessi e della modalità di ammortamento «alla francese» comporti, in sé, la indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto e, di conseguenza, la nullità (parziale) del contratto di mutuo bancario, ai sensi degli artt. 1346 e 1418, comma 2, c.c., allorché “il contratto di mutuo contenga le indicazioni proprie del tipo legale (art. 1813 ss. c.c.), cioè la chiara e inequivoca indicazione dell’importo erogato, della durata del prestito, della periodicità del rimborso e del tasso di interesse predeterminato”.

La Corte giunge a tale conclusione sul presupposto che “mancanza di un fenomeno di produzione di interessi su interessi, la tipologia di ammortamento adottato non incide di per sé sul tasso annuo (TAN) che dev’essere (ed è stato) esplicitato nel contratto né sul tasso annuo effettivo globale (TAEG) anch’esso esplicitato”.

Dunque, è da escludersi la nullità della clausola di determinazione del regime di capitalizzazione nella misura in cui – come nel caso che ha dato origine al rinvio pregiudiziale – sono indicate “il numero e la composizione delle rate costanti di rimborso con la ripartizione delle quote per capitale e per interessi”, essendo il mutuatario posto in condizioni di “ricavare agevolmente l’importo totale del rimborso con una semplice sommatoria”.

Sotto altro profilo, come anticipato, l’ordinanza di rinvio ha prospettato la mancanza di trasparenza delle condizioni contrattuali, ai sensi dell’art. 117, 4° co., t.u.b., in relazione alla maggior quota di interessi complessamente dovuti in presenza di ammortamento «alla francese» rispetto a quello «all’italiana», e dunque chiesto di verificare se tale effetto costituisca un prezzo ulteriore e occulto che rende il tasso d’interesse effettivo maggiore di quello nominale (TAN) e del TAEG dichiarati nel

contratto, di cui il cliente dovrebbe essere informato.

Sul punto, la Corte – ribadito che non è riscontrabile un effetto anatocistico – conclude che il piano di ammortamento «alla francese» “non si traduce in una maggiore voce di costo, prezzo o esborso da esplicitare nel contratto, non incidendo sul TAN e sul TAEG, ma costituisce il naturale effetto della scelta concordata di prevedere che il piano di rimborso si articoli nel pagamento di una rata costante (inizialmente calmierata) e non decrescente”. Pertanto, non essendo ravvisabile nella normativa primaria e secondaria l’obbligo a carico della banca di esplicitare il regime di ammortamento nel contratto, la Corte conclude che è assolto l’obbligo di trasparenza contrattuale mediante l’allegazione delpiano di ammortamento “in base al quale al cliente è assicurata la possibilità di verificare la rispondenza dell’offerta alle proprie esigenze e alla propria situazione finanziaria e di valutarne la convenienza confrontandola con altre offerte presenti eventualmente sul mercato”.

Le Sezioni Unite, dunque, escludono in maniera chiara, e probabilmente definitiva che l’indicazione, nel contratto di mutuo, del piano di ammortamento e del regime di capitalizzazione costituisca un requisito di validità. Allo stesso tempo, rimane aperto il dibattito, già sollecitato dai primi commentatori della sentenza in esame, circa la possibilità di fare oggetto di un obbligo di informazione a carico dell’istituto di credito l’esplicitazione del regime di ammortamento e della eventuale maggiore onerosità del suddetto piano rispetto ad altri piani di ammortamento.

La stessa Cassazione lascia aperto tale scenario, pur sottolineando che in tale ipotesi, la violazione del predetto obbligo (di comportamento) comporterebbe conseguenze “sul piano della responsabilità dell’istituto di credito e non della validità del contratto”, in ossequio al principio di non interferenza tra regole di validità e regole di comportamento, riaffermato dalle Sezioni Unite con le sentenze nn. 26724 – 26725 del 2007.

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