Il termine di decadenza previsto dall’art.32, co. 3 lett. B) della l. 183/2010 (c.d. Collegato Lavoro) si applica ai rapporti di agenzia?
La Corte di Cassazione (ordinanza n. 23348/2024 del 29 agosto 2024) ha confermato la risposta che aveva già dato con la precedente pronuncia n. 8964/2021 non ritenendo di doversi discostare da quanto lì affermato.
Si rammenta che la norma citata prevede che “Le disposizioni di cui all’articolo 6 della legge 15 luglio 1966, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano inoltre: … b) al recesso del committente nei rapporti di collaborazione continuata e continuativa, anche nelle modalità a progetto, di cui all’articolo 409, numero 3), del Codice di procedura civile”.
La Corte ha dapprima richiamato la ratio di tale disposizione. La finalità – secondo la Cassazione - è quella di “contrastare pratiche di rallentamento dei tempi del contenzioso giudiziario che finirebbero per provocare una moltiplicazione degli effetti economici in caso di eventuale sentenza favorevole e di stabilizzare le posizioni giuridiche delle parti in situazioni in cui si ha l’esigenza di conoscere, con precisione ed entro termini ragionevoli, se e quanti lavoratori possono far parte dell’organico aziendale”.
Tuttavia, trattandosi di una limitazione temporale per l’esercizio dell’azione giudiziaria di non poco conto, tanto da dovere ritenere che la norma oggetto di esame abbia carattere di eccezionalità, si imporrebbe una interpretazione particolarmente rigorosa della norma.
E tale rigorosità - precisa la Corte - dovrebbe confrontarsi necessariamente con i limiti previsti dalla nostra Costituzione (artt. 2, 111 e 117), dal diritto euro-unitario (art. 47 della Carta di Nizza, in considerazione della natura della controversia che riguarda il tema del rapporto di agenzia disciplinato dalla direttiva comunitaria n. 653 del 1986) e dal diritto convenzionale (artt. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo), nel senso che “occorre pur sempre tenere conto dei possibili profili di illegittimità con riguardo ad un ambito applicativo di tipo estensivo o analogico della norma in questione”.
Sempre sotto il profilo esegetico della legge, l’ordinanza ha ribadito che l’interpretazione letterale è il primo criterio interpretativo e, solo quando questo non sia chiaro ed univoco, il significato e la connessa portata precettiva possono essere integrati con l’esame complessivo del testo e della mens legis.
Su tali premesse, la Corte ha affermato che, avuto riguardo sia al dato letterale che a quello logico-sistematico, il legislatore ha voluto escludere il rapporto di agenzia dall’ambito operativo della decadenza ex art. 32 co. 3 lett. b) della legge n. 183 del 2010.
Con specifico riferimento al profilo letterale, i giudici di legittimità hanno evidenziato che la dottrina e la giurisprudenza, relativamente all’art. 409 n. 3 c.p.c., hanno definito le fattispecie ivi previste come rapporti parasubordinati, così facendo intendere che, nella categoria generale della parasubordinazione, rientrino le varie tipologie contrattuali ivi menzionate. Tali fattispecie si porrebbero, quindi, rispetto alla categoria della parasubordinazione, in un rapporto di species a genus e questo, secondo la Corte, esclude la possibilità di assimilarle terminologicamente.
Orbene – ha osservato la Cassazione - il legislatore del 2010, con l’art. 32 co. 3 lett. b), ha fatto riferimento esclusivo ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e non anche a quelli di agenzia e di rappresentanza commerciale. Anzi, dove ha voluto ampliare l’ambito applicativo dell’istituto della decadenza, lo ha fatto esplicitamente prevedendo l’inciso “anche nelle modalità a progetto”, in modo da ricomprendere tale tipologia di contratti non espressamente menzionati nell’art. 409 n. 3 c.p.c. Da qui il corollario per il quale il richiamo all’art. 409 n. 3 cpc, da parte dell’art. 32 citato, sarebbe da riferire unicamente ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e non a tutte le fattispecie contrattuali ivi previste.
Sempre sotto il profilo letterale, la Corte, escludendo un uso generico dei termini adottati che riguardano soggetti giuridici connotati da poteri e facoltà specifiche e differenti e che fanno riferimento a diverse tipologie contrattuali, ha evidenziato il riferimento al termine “committente” che esulerebbe tecnicamente sia dal rapporto di agenzia sia dal rapporto di rappresentanza di commercio, dove invece si ha la figura del “preponente”.
Sotto l’aspetto logico-sistematico, poi, la Suprema Corte ha enfatizzato il fatto che il rapporto di agenzia, pur essendo compreso nel genus della parasubordinazione e assoggettato al rito previsto per le controversie in materia di lavoro, è disciplinato da una serie di fonti normative (Codice civile, accordi economici, legge professionale) che lo caratterizzano in modo singolare rispetto ai rapporti di collaborazione, coordinata e continuativa.
È stato dato peso anche alla circostanza secondo la quale l’art. 1751 c.c. già prevede una peculiare ipotesi di decadenza, che regolamenta la domanda, da parte dell’agente, dell’indennità di cessazione del rapporto. Pur dovendo ammettere che si tratta di una decadenza di tipo sostanziale rispetto a quella di natura processuale prevista dall’art. 32 cit., secondo la Corte, l’eventuale coesistenza di tali ipotesi creerebbe una interferenza tra le due norme che potrebbe incidere sulla esigenza del simultaneus processum e sulla necessità di un accertamento giudiziale unitario in ordine alla verifica sia della arbitrarietà del recesso che della debenza delle indennità negoziali connesse alla cessazione del rapporto le quali potrebbero essere non dovute in caso di interruzione per giusta causa del rapporto.
La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza n. 40652 del 17 dicembre 2021 ha affermato il principio di diritto secondo cui la decadenza, prevista dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 4, lett. d), non si applica all’ipotesi di richiesta di accertamento del rapporto di lavoro, ormai risolto, nei confronti di altro datore di lavoro rispetto a quello formale, ove non si rinvenga un atto che neghi la titolarità del rapporto.
Giova rammentare che la L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 4, prevede che: "Le disposizioni di cui alla L. 15 luglio 1966, art. 6, come modificato dal comma 1, del presente articolo, si applicano anche: … d) in ogni altro caso in cui, compresa l'ipotesi prevista dal D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 27, si chieda la costituzione o l'accertamento di un rapporto di lavoro in capo ad un soggetto diverso dal titolare del contratto".
La sentenza in commento muove dall’assunto che la finalità del regime di decadenza introdotto della L. n. 183 del 2010, art. 32, è stata quella di estendere il termine di decadenza previsto dalla L. n. 604 del 1966, art. 6 con riguardo all'impugnativa stragiudiziale del licenziamento, ad una serie di altre ipotesi, con la finalità di “contrastare pratiche di rallentamento dei tempi del contenzioso giudiziario che finirebbero per provocare una moltiplicazione degli effetti economici in caso di eventuale sentenza favorevole e di stabilizzare le posizioni giuridiche delle parti in situazioni in cui si ha l'esigenza di conoscere, con precisione ed entro termini ragionevoli, se e quanti lavoratori possono far parte dell'organico aziendale”.
Venendo in rilievo una limitazione temporale per l'esercizio dell'azione giudiziaria di notevole incidenza sui diritti del lavoratore, alla norma deve essere attribuito carattere di eccezionalità, imponendosene una interpretazione particolarmente rigorosa.
Nel senso della impossibilità di una interpretazione estensiva dall’art. 32, lett. d) si è espressa, tra le tante, Cass. civ. Sez. lavoro, 7 novembre 2019, n. 28750, che ha escluso l’applicabilità dei termini di decadenza di cui all’art. 32, n. 4, lett. c) e d), L. 183/10, all’ipotesi del lavoratore che non impugna la cessione del contratto di lavoro nell'ambito di un trasferimento ex art. 2112 c.c., ma, all'inverso, la rivendica. E ciò perché, il legislatore utilizzando la locuzione "in ogni altro caso in cui, compresa l'ipotesi prevista dal D.Lgs. 20 settembre 2003, n. 276, art. 27....", ha inteso “escludere le fattispecie riconducibili, in qualche modo, a quelle già regolate dalle diverse lettere della norma in questione”. Pertanto, se “il fenomeno della cessione del contratto di lavoro, avvenuta ai sensi dell'art. 2112 c.c., è stata già disciplinata dal legislatore (lett. c), nella misura in cui risulta essere stata precisata e limitata da questa Corte di legittimità, non può poi una fattispecie relativa allo stesso fenomeno, ma posta in termini differenti e già esclusa dalla ipotesi tipizzata, considerarsi disciplinata dalla norma di chiusura di natura eccezionale” (nello stesso senso, Cass., 4 aprile 2019, n. 9469).
Sui medesimi presupposti, Cass., 25 maggio 2017, n. 13179 ha escluso la riferibilità del termine di cui all’art. 32, lett. d), all'azione per l'accertamento e la dichiarazione del diritto di assunzione del lavoratore presso l'azienda subentrante nell'ipotesi di cambio di gestione dell'appalto.
La Corte, in quel caso, ha altresì rilevato che la fattispecie contemplata dalla predetta disposizione può riferirsi “a tutte quelle altre tipologie in senso lato interpositorie che possono realizzarsi ad esempio nell'ambito di gruppi societari che nascondono un'unicità d'impresa, come anche in ipotesi di più imprese in cui viene rivendicata una contitolarità del rapporto di lavoro”. In questi casi, “ciò che la norma fa rientrare nell'ambito limitativo del termine di decadenza per l'impugnazione è l'accertamento di un rapporto di lavoro alle dipendenze di un terzo, quale preteso effettivo o unico titolare del rapporto”.
Proprio muovendo dal richiamo a Cass. n. 13197/17, i giudici di merito, nei procedimenti poi giunti al vaglio della Cassazione nel caso in commento, avevano ritenuto sussumibile nelle previsioni di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 4, lett. d), anche l’ipotesi di richiesta di accertamento del rapporto di lavoro, ormai risolto, nei confronti di altro datore di lavoro rispetto a quello formale.
La Cassazione, invece, si pone sul diverso piano logico-giuridico della operatività della decadenza, richiamando le recenti decisioni del Supremo Collegio, n. 30490/2021 e n. 14131/2020, che hanno escluso l’estensibilità del termine decadenziale “alle ipotesi in cui manchi del tutto un atto che il lavoratore abbia interesse a contestare o confutare” (le pronunce sono state rese in fattispecie in cui si deduceva l’illegittimità del contratto di collaborazione a progetto, risoltosi per effetto della manifestazione di volontà del collaboratore di voler recedere dal rapporto, ovvero cessato per la sua naturale scadenza).
In forza dei principi affermati dalle sentenze citate, è dunque impossibile “estendere analogicamente ad un "fatto" (cessazione dell'attività del lavoratore) una norma calibrata in relazione ad atti scritti e recettizi ovvero a fatti tipizzati”.
Su queste premesse, la Corte, con la sentenza in esame, conclude che “sia nei casi di richiesta di costituzione (ove è chiara la volontà dell'istante di ripristino immediato e/o di stabilizzazione) sia nei casi di richiesta di accertamento (ove l'azione dichiarativa richiede un accertamento "ora per allora") dei rapporto di lavoro alle dipendenze di un soggetto diverso dal titolare del contratto, occorre pur sempre un atto o un provvedimento datoriale che renda operativo e certo il termine di decorrenza della decadenza di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 4, lett. d), in un'ottica di bilanciamento di interessi costituzionalmente rilevanti”.
E, dunque – conclude la Corte - la decadenza in questione non si applica alla richiesta di costituzione o di accertamento di un rapporto di lavoro, ormai risolto, in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto, ove manchi un provvedimento in forma scritta o un atto equipollente che neghi la titolarità del rapporto stesso.