Con la sentenza n. 31105 del 4 dicembre 2024 la Corte di Cassazione ha chiarito in base a quali criteri si debba desumere la sussistenza o meno della deroga all’art. 1957 c.c. a fronte di una clausola inserita in un contratto di fideiussione che contempla l'escussione della garanzia a ‘prima richiesta’ di pagamento e non anche l'espresso riferimento alla preclusione delle eccezioni.
Sul tema si erano già espresse le Sezioni Unite con la sentenza n. 3947/2010 affermando che “l'inserimento in un contratto di fideiussione di una clausola di pagamento “a prima richiesta e senza eccezioni” vale di per sé a qualificare il negozio come contratto autonomo di garanzia (cd. Garantievertrag), in quanto incompatibile con il principio di accessorietà che caratterizza il contratto di fideiussione, salvo quando vi sia un’evidente discrasia rispetto all'intero contenuto della convenzione negoziale”.
La giurisprudenza successiva ha specificato che la deroga all'’art. 1957 c.c. non può, però, ritenersi implicita laddove sia inserita, all’interno del contratto di fideiussione, una clausola di “pagamento a prima richiesta”, o altra equivalente.
Le ragioni di tale affermazione, dice la Cassazione, si rinvengono nel fatto che “la disposizione è espressione di un’esigenza di protezione del fideiussore che, prescindendo dall’esistenza di un vincolo di accessorietà tra l'obbligazione di garanzia e quella del debitore principale, può essere considerata meritevole di tutela anche quando tale collegamento sia assente, ma anche perché una tale clausola non ha rilievo decisivo per la qualificazione di un negozio come “contratto di garanzia” o come “fideiussione”, potendo tali espressioni riferirsi sia a forme di garanzie svincolate dal rapporto garantito (e quindi autonome), sia a garanzie, come quelle fideiussorie, caratterizzate da un vincolo di accessorietà, più o meno accentuato, nei riguardi dell'obbligazione garantita, sia, infine, a clausole il cui inserimento nel contratto è finalizzato, nella comune intenzione dei contraenti, a una deroga parziale della disciplina dettata dal citato art. 1957 c.c. (ad esempio, limitata alla previsione che una semplice richiesta scritta sia sufficiente ad escludere l'estinzione della garanzia), esonerando il creditore dall'onere di proporre l'azione giudiziaria”.
Per la Cassazione, dunque, la clausola di pagamento “a prima richiesta” non risulta incompatibile con l'applicazione dell'art. 1957 c.c.; con la conseguenza che sarà il giudice di merito a dover accertare la volontà in concreto manifestata dalle parti (Cass., n. 16825/16; n. 84/2010; n. 19693/2022).
Nel caso esaminato dalla Corte, nella sentenza in commento, la clausola contemplava la sola “prima richiesta” di pagamento, ma non anche l'espresso riferimento alla preclusione delle eccezioni.
La clausola in discussione fa riferimento al pagamento immediato a semplice richiesta scritta anche in caso di opposizione del creditore, ma non contiene un’espressa indicazione circa l'impegno di pagare ‘senza eccezioni’.
La dizione ‘anche in caso di opposizione del debitore’, secondo la requisitoria del P.M. rammentata dalla sentenza, “non costituisce chiara manifestazione della volontà di elidere il connotato di accessorietà che caratterizza il negozio fideiussorio e, dunque, non rende autonomo l'impegno del garante, obbligandolo a pagare immediatamente senza poter sollevare nemmeno in un secondo momento eccezioni”.
Il Supremo Collegio, dopo aver richiamato l’orientamento che ritiene non incompatibile la clausola di pagamento “a prima richiesta” con l’applicazione dell’art. 1957 c.c., ha ribadito la necessità che sia il giudice di merito ad accertare la concreta volontà delle parti, ricostruendo il reale contenuto della pattuizione. Cosa che nel caso di specie non è avvenuto. La Corte territoriale, si legge nella sentenza in commento, avrebbe “omesso di considerare che la sola clausola a ‘pagamento immediato a semplice richiesta scritta’, per di più ove si accompagni alla previsione di un assetto negoziale che ricalchi nel complesso il modello fideiussorio, non consente di ritenere che il garante abbia consapevolmente sottoscritto un contratto di garanzia autonomo”.
In conclusione, la Cassazione ha enunciato il seguente principio di diritto: “in materia di garanzie personali, la presenza nell'accordo di garanzia di una clausola 'a prima richiesta' non è decisiva ai fini di stabilire se le parti abbiano inteso stipulare una fideiussione o un contratto autonomo di garanzia, rendendosi a tal fine necessario accertare, per mezzo di una indagine diretta a ricostruire, facendo uso degli ordinari strumenti interpretativi nella disponibilità del giudice, l'effettiva volontà delle parti, lo scopo che queste hanno inteso perseguire per mezzo dell'intervenuta stipulazione”.
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 41994 del 30 dicembre 2021, resa a Sezioni Unite, ha affermato importanti principi di diritto in materia di fideiussione chiarendo quale sia la sorte del contratto ‘a valle’ riproduttivo di clausole frutto di intese anticoncorrenziali.
Tra i diversi rimedi a disposizione del consumatore, la Suprema Corte di legittimità ha rinvenuto nella sanzione della nullità parziale la forma di tutela più in linea con le finalità e gli obiettivi della normativa antitrust.
1 - I fatti di causa.
La Banca, a cui si era rivolta la società A., aveva subordinato la concessione del finanziamento richiesto al rilascio da parte del sig. B.G., socio di A., di due fideiussioni che venivano sottoscritte rispettivamente nel 2004 e nel 2006.
Nel 2011 la Banca, comunicata la risoluzione del contratto e richiesta la restituzione del relativo scoperto di conto, depositava ricorso per decreto ingiuntivo davanti al Tribunale di Torino chiedendo al sig. B.G., in qualità di fideiussore, il pagamento di quanto dovuto dalla società A.
Il procedimento monitorio, in seguito all’opposizione del sig. B.G., veniva sospeso ai sensi dell’art. 295 c.p.c. avendo quest’ultimo adito nelle more la Corte di appello di Roma in unico grado al fine di sentir dichiarare radicalmente nulli, per violazione dell’art. 2, co. 2, lett. a) della L. 287 del 1990, i due contratti di fideiussione stipulati in favore della soc. A, nonché per ottenere la condanna al risarcimento di tutti i danni subiti.
In via subordinata, chiedeva di dichiararsi la nullità delle sole clausole contenute negli articoli 2, 6 e 8 dei predetti contratti di fideiussione.
La Corte d’appello accoglieva la domanda del sig. B.G. dichiarando la nullità per violazione dell’art. 2, co. 2, lett. a), della L. 287 del 1990 delle clausole contenute nei predetti artt. 2, 6 e 8 dei contratti di fideiussione.
Avverso tale decisione la Banca ha proposto ricorso per cassazione.
2. - L’ordinanza interlocutoria.
La Corte di Cassazione, investita del ricorso, con l’ordinanza interlocutoria n. 11486/2021 depositata il 30 aprile 2021, ha rimesso la questione alle Sezioni Unite dando atto dell’esistenza di un contrasto in dottrina e in giurisprudenza in merito alla tutela da accordare al soggetto che abbia stipulato un contratto di fideiussione ‘a valle’ in caso di nullità delle condizioni stabilite nelle intese tra imprese ‘a monte’ per violazione dell’art. 2, co. 2, lett. a), della L. 287 del 1990.
Sono state prospettate diverse soluzioni: a) nullità totale del contratto ‘a valle’; b) nullità delle sole clausole che riproducono le condizioni dell’intesa nulla ‘a monte’; c) tutela risarcitoria.
3. – Il procedimento avviato dalla Banca d’Italia.
Nel 2003 la Banca d’Italia ha avviato un’istruttoria per verificare se lo schema negoziale tipico per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie (fideiussione omnibus) predisposto dall’ABI (Associazione Bancaria Italiana) e concordato con alcune organizzazioni a tutela dei consumatori, fosse compatibile con la disciplina dettata in materia di concorrenza.
Ai sensi dell’art. 20 della l. 287 del 1990 la Banca D’Italia ha interpellato in via consultiva l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, la quale, nel rendere il parere preliminare n. 12400, ha rilevato possibili aspetti restrittivi della concorrenza, evidenziando come lo schema di contratto predisposto dall’ABI si sostanzierebbe in “un’intesa orizzontale all’interno dell’intero sistema bancario nazionale, avente ad oggetto la fissazione di condizioni contrattuali uniformi peggiorative per la clientela rispetto a quelle altrimenti applicabili sulla base della normativa esistente”. L’Autorità Garante ha poi confermato le predette preoccupazioni con il successivo parere n. 14251 del 20 aprile 2005.
Nel mirino della Banca d’Italia sono finite quelle clausole dello schema ABI che, derogando alla disciplina civilistica della fideiussione, producono un effetto peggiorativo delle condizioni contrattuali per il fideiussore.
L’esame istruttorio si è concentrato su quelle clausole dello schema in grado di determinare effetti anticoncorrenziali in seguito ad un’eventuale adozione generalizzata da parte delle banche, in mancanza di un equilibrato contemperamento degli interessi delle parti. Tra le predette clausole vi sono:
Le clausole di cui sopra hanno l’effetto di addossare al fideiussore le conseguenze negative derivanti dall'inosservanza degli obblighi di diligenza della banca ovvero dall'invalidità o dall'inefficacia dell'obbligazione principale e degli atti estintivi della stessa.
In via preliminare, lo schema contrattuale predisposto dall’ABI, in quanto deliberazione di un’associazione di imprese - quali appunto sono le banche e gli istituti finanziari aderenti all’ABI -, è stato ricondotto all’interno della cornice disegnata dall’art. 2, co. 1, della L. 287 del 1990, in forza del quale “Sono considerati intese gli accordi e/o le pratiche concordati tra imprese nonché le deliberazioni, anche se adottate ai sensi di disposizioni statutarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari”.
La predisposizione di schemi contrattuali standardizzati in linea generale è stata ritenuta idonea alla produzione di effetti pro-competitivi nella misura in cui facilita al consumatore il confronto delle condizioni tra le varie offerte proposte sul mercato.
Tuttavia, secondo l’Autorità, l’effetto competitivo si verifica solo a condizione che le clausole uniformi non concernano tutte le caratteristiche del prodotto, in modo che residui una sufficiente possibilità per le imprese operanti nel mercato di riferimento di farsi concorrenza sul piano della differenziazione dell’offerta.
La fideiussione prestata a favore delle banche se da una parte assolve la funzione di facilitare l’accesso del debitore al credito bancario, dall’altra, rappresentando un servizio offerto dal fideiussore al debitore, costituisce anche un costo per quest’ultimo.
Ne deriva che le condizioni intercorrenti tra il fideiussore ed il creditore (la banca), nella misura in cui peggiorano la posizione del fideiussore, hanno inevitabilmente effetto anche sul costo complessivo che il debitore deve sopportare per ottenere il finanziamento.
Secondo il parere espresso dall’AGCM, la disciplina della fideiussione omnibus di cui allo schema predisposto dall’ABI presenta clausole idonee a restringere la concorrenza in quanto determinanti un aggravio economico indiretto, rendendo più difficoltoso l’accesso al credito, nonché nei casi di fideiussioni a pagamento l’accrescimento del costo complessivo del finanziamento per il debitore che dovrebbe remunerare il maggior rischio assunto dal fideiussore.
Preso atto del parere espresso dall’Autorità Garante, la Banca d’Italia, avviata l’istruttoria ai sensi dell’art. 2 della L. 287/90, ha individuato, sotto il profilo geografico, il mercato rilevante nell’intero territorio nazionale in ragione dell’estesa base associativa dell’ABI.
Al fine di integrare il contraddittorio, l’Abi è stata invitata a presentare le proprie difese: essa, nel difendere la bontà dello schema dalla stessa ideato, ha affermato come “nella prassi, non sussiste il rischio che la fideiussione determini un aumento del costo sostenuto dal debitore per accedere al credito” in quanto “La fideiussione non può intendersi alla stregua di un servizio che il fideiussore rende al debitore, poiché l’esperienza delle operazioni bancarie indica che il garante è di norma partecipe della vicenda creditizia o dei risultati dell’attività economica finanziata; egli pertanto, avendo un interesse proprio alla concessione del credito, non necessiterebbe di alcun corrispettivo. Del tutto diversa è la fideiussione a pagamento prestata da banche, società assicurative e altri garanti istituzionali a favore di imprese in relazione a particolari esigenze o attività e, comunque, senza far uso dello schema contrattuale in esame”.
Successivamente la Banca d’Italia ha ritenuto opportuno inquadrare lo schema dell’ABI nella prassi bancaria europea, verificando come negli altri paesi (in particolare Germania, Regno Unito e Francia) vengano disciplinati gli schemi contrattuali per la fideiussione omnibus (ad es., l’autorità di tutela della concorrenza tedesca, la Bundeskartellamt, ha ritenuto che la standardizzazione contrattuale non risulta necessariamente contraria alla legge antitrust se si va a considerare il “legittimo interesse delle banche a razionalizzare i rapporti giuridici di massa, al miglioramento della tutela del cliente nei confronti della banca e all’assenza di riflessi sulle condizioni economiche applicate alla clientela”).
In relazione alla clausola ‘a prima richiesta’, la Banca d’Italia, valorizzandone la diffusione nel contesto europeo, ha ritenuto giustificato l’onere per il fideiussore determinato dalla presenza nello schema ABI di tale clausola, trattandosi in ogni caso di una previsione contrattuale funzionale a consentire l’accesso al credito.
Con il provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005, conclusa l’istruttoria, la Banca d’Italia ha invece ritenuto le clausole previste agli articoli 2, 6 e 8 dello schema ABI, nella misura in cui vengono applicate in modo uniforme, lesive della concorrenza, avendo “il precipuo scopo di addossare al fideiussore le conseguenze negative derivanti dall’inosservanza degli obblighi di diligenza della banca ovvero dall’invalidità o dall’inefficacia dell’obbligazione principale e degli atti estintivi della stessa”.
4. – La sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 41994 del 2021
Le Sezioni Unite sono state investite della questione riguardante gli effetti che, sulle fideiussioni stipulate ‘a valle’ tra la Banca e il garante abbia prodotto l’illecito antitrust rilevato ‘a monte’ dalla Banca d’Italia ovvero se, nel caso di fideiussioni rilasciate dal cliente della banca, nelle quali siano state inserite le predette clausole, la cui natura anticoncorrenziale è stata accertata dall’Autorità competente, al garante spetti una tutela ‘reale’, ossia a carattere ‘demolitorio’, oppure una tutela esclusivamente risarcitoria.
Ricostruito il contesto giurisprudenziale, tra le varie forme di tutela riconoscibili, le Sezioni Unite hanno ritenuto che l’ipotesi della nullità parziale costituisca il rimedio più in linea con le finalità e gli obiettivi della normativa antitrust.
La sanzione della nullità parziale si rivela, insieme alla tutela risarcitoria, un adeguato strumento di tutela individuale e collettivo, in quanto non si pone solo nell’interesse esclusivo del singolo, ma anche in quello della trasparenza e della correttezza del mercato posto a fondamento della normativa antitrust.
Tale strumento, oltre a salvaguardare il principio della conservazione del contratto, consente di assicurare il rispetto degli altri interessi coinvolti come quello degli istituti di credito a mantenere in vita la garanzia fideiussoria, seppur con l’eliminazione delle clausole illecite.
I contratti ‘a valle’ contrari alla normativa antitrust, affermano le Sezioni Unite, “in quanto costituenti lo sbocco dell’intesa vietata, essenziale a realizzarne e ad attuarne gli effetti… partecipano della stessa natura anticoncorrenziale dell’atto a monte e vengono ad essere inficiati dalla medesima forma di invalidità che colpisce i primi”.
La nullità speciale delle clausole in questione, precisa la Cassazione nella sentenza in commento, discende dalla loro natura di disposizioni restrittive in concreto della libera concorrenza e non certo dalla effettuata deroga alle norme codicistiche in tema di fideiussione.
Dalla scelta interpretativa fatta delle Sezioni Unite - per la quale la nullità dell’intesa ‘a monte’ determina la ‘nullità derivata’ del contratto di fideiussione ‘a valle’, ma limitatamente a quelle clausole che costituiscono applicazione degli articoli (v. artt. 2, 6 e 8) dello schema ABI dichiarati nulli dal provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2005 - derivano i seguenti corollari:
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