Le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza del 4 dicembre 2024 n. 31136 hanno chiarito che, nel caso di domande avvinte da un nesso di cumulo alternativo soggettivo sostanziale per incompatibilità, affinché il giudice d’appello, adito in via principale sul punto dal convenuto soccombente, possa accogliere la pretesa azionata verso il litisconsorte alternativo assolto in primo grado, l’attore deve avanzare appello incidentale condizionato, non potendo limitarsi a riproporre ex art. 346 c.p.c. la rispettiva domanda, esaminata e respinta nella sentenza impugnata.

1. - I fatti di causa

V.R. proponeva ricorso per cassazione contro la sentenza della Corte d’appello di Roma che, nel riformare la sentenza di 1° grado, aveva respinto la domanda avanzata da quest’ultimo volta ad ottenere la condanna, in via alternativa, della Regione Lazio, del Comune di Latina o dell'INPS a pagare una somma di denaro a titolo di differenze retributive dovute per lo svolgimento di mansioni superiori.

Il giudice di 1° grado aveva accolto il ricorso di V.R. condannando l'INPS a corrispondere l’importo richiesto, “in quanto il lavoratore era stato comandato alle dipendenze dell'INPS dagli enti di appartenenza (prima Comune di Latina e poi Regione Lazio), e doveva perciò essere l’amministrazione ove era stato comandato, la quale aveva indebitamente utilizzato il dipendente nelle mansioni de quibus, a corrispondere le relative differenze retributive”.

La sentenza di primo grado è stata impugnata, in via principale, dall’INPS e, in via incidentale, da V.R. limitatamente al capo sulla compensazione delle spese.

La Corte d’appello, nell’accogliere il gravame principale proposto dall’INPS, ha rilevato che, poiché V.R. nel costituirsi in giudizio aveva proposto appello incidentale limitatamente al capo sulle spese di lite e non aveva riproposto le domande, ai sensi dell'art. 346 c.p.c., nei confronti del Comune di Latina e della Regione Lazio, in ordine alle stesse non poteva esserci pronuncia nel giudizio di impugnazione.

Per il giudice di secondo grado la proposizione dell’appello incidentale sul solo capo attinente alle spese “attesterebbe l'accettazione della sentenza del Tribunale nelle parti relative al rigetto delle domande verso gli altri convenuti”.

Contro la sentenza d’appello V.R. ha proposto ricorso per cassazione, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 343 e 346 c.p.c., per avere la sentenza impugnata ritenuto la necessità di proporre appello incidentale condizionato al fine di ottenere il riesame e l’eventuale accoglimento delle pretese verso il Comune di Latina e la Regione Lazio.

2. - L’ordinanza interlocutoria

La questione giuridica sottesa al ricorso proposto da V.R. è stata ritenuta di particolare importanza dalla Cassazione che con l’ordinanza interlocutoria n. 3358/2024, pubblicata il 6 febbraio 2024, ha rimesso la causa alla Prima Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

3. - Le Sezioni Unite n. 31136/2024

La questione sollevata nell’ordinanza interlocutoria è stata esaminata dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza in commento del 4 dicembre 2024 n. 31136 ed è stata così riassunta: nel caso di cumulo soggettivo passivo alternativo di domande, ovvero di un litisconsorzio soggettivamente alternativo, le possibili risposte circa la condotta che deve osservare l'attore appellato, a seguito del gravame avanzato dall'unico convenuto soccombente, sono tre:

“1) egli è tenuto a proporre appello incidentale condizionato contro i convenuti andati assolti;

2) egli è tenuto a riproporre espressamente in appello, ai sensi dell'art. 346 c.p.c., le domande verso i convenuti non soccombenti;

3) egli non dovrebbe fare alcunché, bastando l'appello del soccombente a rimettere per intero in discussione il tema della individuazione dell'effettivo debitore”.

Nella sentenza in commento, le Sezioni Unite hanno ricordato che in  materia si era già espressa la giurisprudenza di legittimità con la sentenza n. 11202 del 2002, resa sempre a Sezioni Unite, che aveva prescelto univocamente la tesi secondo cui, “avendo l'appellato, con la sentenza di condanna di un convenuto, visto per intero realizzato il proprio interesse, gli basta (ma gli occorre) la riproposizione ex art. 346 c.p.c. della(e) domanda(e) nei confronti dell'altro (degli altri) convenuto(i). Una manifestazione di volontà ad hoc da parte dell'appellato è richiesta giacché l'unicità del rapporto sostanziale di credito, con titolare passivo incerto, non toglie che due e distinte siano le formali pretese, caratterizzate, pur nell'identità del petitum, dalla diversità dei soggetti convenuti (personae) e in parte dai fatti e dagli argomenti di sostegno (causae petendi)”.

In altro precedente giudiziario (Cass. S.U., sent. n. 7700 del 2016) la Corte ha preliminarmente stabilito la linea di demarcazione fra l’appello incidentale e il concetto di riproposizione ex art. 346 c.p.c.

Per la Corte alla riproposizione “deve ritenersi estraneo ogni profilo di deduzione di una critica alla decisione impugnata, il che è connaturato al concetto di impugnazione… con la riproposizione il legislatore ha inteso alludere alla prospettazione al giudice di appello di domande ed eccezioni che possono essere nuovamente “proposte” come lo erano state al primo giudice, giacché da questo “non accolte”, ma senza che egli le abbia considerate espressamente o implicitamente nella sua motivazione, e dunque senza che le valutazioni su di esse abbiano concorso a determinare il contenuto della decisione, altrimenti imponendosi una critica alla sentenza e, perciò, un appello incidentale”.

Alla luce della predetta distinzione, la sentenza n. 7700 del 2016 si è posta in contrasto con la sentenza n. 11202 del 2002, avendo espunto dall'ambito di operatività dell'art. 346 c.p.c. “ogni ipotesi di domanda o eccezione respinta, cioè su cui il giudice di primo grado abbia espresso una decisione o sia incorso in un error in procedendo”. Pertanto, nel caso di rigetto espresso (o implicito) di una domanda, per ridiscuterne, sarà di regola necessario l’appello, che potrà assumere carattere principale oppure incidentale e non sarà mai utilizzabile l’art. 346 c.p.c.

Con riferimento specifico all’ipotesi di domande alternative, Cass., S.U. sent. n. 7700 del 2016 ha preliminarmente distinto il caso in cui si configura un’alternatività oggettiva per incompatibilità nello stesso diritto sostanziale(il giudice per ritenerne fondata una domanda deve necessariamente reputare infondata l'altra) dal caso in cui l'alternatività non sia tale (potendo coesistere i fatti costitutivi di entrambe le domande ed essendo essa solo espressione dell'indifferenza dell'interesse della parte all'accoglimento di una di esse).

Orbene, nella prima ipotesi la decisione impugnata deve aver necessariamente pronunciato (anche implicitamente) su entrambe le domande, per cui l’attore, a seguito dell'impugnazione del convenuto, non si troverà nella condizione né di dover proporre appello incidentale né di dover riproporre l'altra domanda, “qualora l'appellante convenuto proponga il suo appello censurando la sentenza di primo grado con una prospettazione che neghi la fondatezza di entrambe le domande, cioè sia di quella accolta, sia di quella esclusa solo perché incompatibile con quella accolta”. In tal caso, la discussione su entrambe le domande è stata già sollecitata dallo stesso appellante.

Semmai per l’attore, dicono le S.U. del 2006, si porrà un problema di devoluzione al giudice d'appello di eventuali questioni decise espressamente o implicitamente dalla sentenza di primo grado. L'appello incidentale sarà quindi configurabile in relazione a tali questioni.

Allo stesso modo, se il convenuto proponga appello avverso la decisione di accoglimento di una domanda per ragioni solo ad essa intrinseche, che non comporterebbero la fondatezza di quella invece ritenuta infondata, “l'attore, per ottenere che sia riesaminata la domanda reputata infondata, essendovi stata una decisione espressa (o implicita) riguardo ad essa, deve criticarla e, quindi, deve proporre appello incidentale quanto alla sua decisione”.

Nella seconda ipotesi, se il primo giudice ha accolto una domanda e rigettato l'altra, la posizione di indifferenza dell'attore rispetto all'accoglimento dell'una o dell'altra, esclude che egli abbia interesse ad impugnare, essendo la sua soccombenza non pratica ma solo teorica. L’impugnazione del convenuto non potrà che dirigersi contro la domanda accolta e l'attore, a questo punto, vedrà sorgere il suo interesse a rimettere in discussione il rigetto dell’altra domanda, attraverso l’appello incidentale condizionato all'eventuale accoglimento dell'appello del convenuto sull'altra domanda.

Secondo le Sezioni Unite del 2006, in tal caso “la mera riproposizione ai sensi dell'art. 346 c.p.c. non sarà, dunque, sufficiente”.

L’interpretazione sui limiti di operatività dell'art. 346 c.p.c. data nella sentenza n. 7700 del 2016 (nel senso che alla riproposizione debba ritenersi estraneo ogni profilo di critica ad una decisione comunque, espressamente o implicitamente, resa) trova più ampia conferma, dicono le Sezioni Unite, nella recente giurisprudenza di legittimità (si v. sent. nn. 7940/2019; 13195/2018; 11799/2017).

In particolare, la sentenza n. 11799 del 2017, ricorda la Corte, nel tracciare i confini fra “appello incidentale” e c.d. “mera riproposizione”, ha richiamato puntualmente la sentenza n. 7700 del 2016, “confermando i legami di rigorosa consequenzialità, rispettivamente, tra: enunciazione espressa o anche indiretta, ma comunque chiara ed inequivoca, di infondatezza e gravame incidentale; carenza di enunciazione espressa, o comunque chiara ed inequivoca, di infondatezza e riproposizione”.

Le Sezioni Unite nella sentenza in commento n. 31136/2024 hanno rilevato che i profili problematici colti dall'ordinanza interlocutoria si pongono soltanto nel caso di “cumulo alternativo sostanziale incondizionato di domande tra loro incompatibili” che si ha quando l'attore proponga in giudizio due (o più) pretese tra loro incompatibili nei confronti di due (o più convenuti).

In altre parole, tale cumulo si verifica quando l'attore fa causa alternativamente nei confronti di due o più convenuti, “richiedendo uno stesso bene della vita, ma le domande sostanzialmente cumulate divergono, oltre che per la persona del destinatario della pretesa, eventualmente anche per il petitum immediato e/o per la causa petendi, sicché l'una domanda non può dirsi fondata ed essere accolta se risulta fondata e si accoglie l'altra, mentre esse ben possono essere entrambe rigettate”.

Le domande, dicono le Sezioni Unite, restano, pertanto, due, sotto il profilo strutturale, seppure avvinte da unitarietà funzionale e da interdipendenza processuale, atteso che la soluzione dell'una non può aversi se non in funzione della soluzione dell'altra, e ciò delinea l'unitarietà del litisconsorzio.

In caso di cumulo alternativo sostanziale incondizionato, il rispetto della regola di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato “impone al giudice di primo grado di adempiere al proprio dovere decisorio in maniera da dirimere il dubbio irrisolto nella individuazione dell'effettivo obbligato, pervenendo all'affermazione della responsabilità di uno di essi, sicché la sentenza contiene una pluralità di statuizioni, di fondatezza e di infondatezza delle rispettive pretese, l'una dipendente e discendente dall'altra”.

Come già riscontrato più volte da una costante elaborazione giurisprudenziale, il nesso di dipendenza implicato dal cumulo alternativo in sede di impugnazione comporta l'applicazione dell'art. 331 c.p.c. e cioè una situazione di litisconsorzio unitario (o necessario processuale).

Tuttavia, rileva la Cassazione, il litisconsorzio processuale in sede di gravame se, da una parte, garantisce, appunto, l'integrità del contraddittorio (quanto ai soggetti che devono prendere parte al giudizio), dall’altra, “non ne determina ipso iure l'ampiezza, questa dipendendo dalle specifiche iniziative dei singoli litisconsorti in relazione all'ambito oggettivo di quanto è devoluto al giudice del gravame”.

Ne deriva che l'appellato, soccombente sul capo che ha respinto le domande verso i convenuti alternativi, deve proporre impugnazione incidentale per chiedere che le stesse siano nuovamente decise nel merito.

Gli effetti dell'eventuale accoglimento dell'appello formulato dal singolo convenuto alternativo rimasto soccombente in primo grado vanno stabiliti alla luce del principio simul stabunt simul cadent.

Nello specifico, il capo dipendente di sentenza recante l'enunciazione espressa (o indiretta) di infondatezza della pretesa azionata dall'attore verso il convenuto alternativo rispetto a quello condannato, “subisce l'effetto espansivo interno della riforma derivante dall'accoglimento del gravame principale e, dunque, non passa in giudicato, sicché dall'accoglimento dell'appello principale non discende una duplice soccombenza dell'attore stesso”.

L'effetto espansivo della riforma provocato dal nesso di dipendenza tra le pretese in cumulo alternativo e tra i correlativi capi della decisione inerenti alla titolarità passiva del rapporto dedotto in lite non comporta, dice la Cassazione, la devoluzione automatica al giudice d'appello della pronuncia sulla domanda dell'attore verso il litisconsorte alternativo assolto, non potendosi giustificare la modifica della prima sentenza su tale punto, nel senso di condannare l'altro convenuto, in forza soltanto dei motivi dell'appello principale.

Le pretese in cumulo alternativo verso i distinti convenuti, reciprocamente incompatibili sul piano sostanziale, concorrono, ha affermato la Cassazione, “in modo apparente ai fini del soddisfacimento del medesimo interesse e si pongono tra loro in relazione di esclusione (non di assorbimento), sicché la decisione del giudice nel merito deve riguardare sempre entrambe perché, se è fondata l'una, è infondata l'altra. L'eguaglianza del risultato economico cui mirano le domande cumulate non ne giustifica, tuttavia, la simultanea integrale devoluzione al giudice d'appello sol perché il convenuto soccombente con l'impugnazione principale rimette in discussione la statuizione inerente alla sua condanna, e quindi alla individuazione del soggetto passivo della pretesa azionata”.

In definitiva, l'effetto espansivo della riforma della sentenza che abbia visto condannato uno dei convenuti alternativi non può quindi giovare oltre i limiti della soccombenza di quest'ultimo ed in favore dell'attore, il quale non abbia proposto alcuna doglianza volta a sovvertire l'esito del giudizio in danno dell'altro convenuto.

4. - Il principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite

In conclusione, nella sentenza in commento le Sezioni Unite, hanno pronunciato il seguente principio di diritto: “Nel caso di domande avvinte da un nesso di cumulo alternativo soggettivo sostanziale per incompatibilità, proposte dall'attore nei confronti di due diversi convenuti, la sentenza di primo grado che condanna colui che sia individuato come effettivo obbligato contiene una statuizione di fondatezza della rispettiva pretesa e una statuizione di rigetto nel merito della pretesa alternativa incompatibile. Il nesso di dipendenza implicato dal cumulo alternativo comporta in sede di impugnazione l'applicazione dell'art. 331 c.p.c. e la riforma del capo della sentenza inerente alla titolarità passiva del rapporto dedotto in lite, conseguente all'accoglimento dell'appello formulato dal convenuto alternativo rimasto soccombente in primo grado, ha effetto anche sul capo dipendente recante l'enunciazione espressa, o anche indiretta, ma comunque chiara ed inequivoca, di infondatezza della pretesa azionata dall'attore verso l'altro convenuto. Affinché il giudice d'appello, adito in via principale sul punto dal convenuto soccombente, possa altresì accogliere la pretesa azionata verso il litisconsorte alternativo assolto in primo grado e perciò condannare quest'ultimo, l'attore non può limitarsi a riproporre ex art. 346 c.p.c. la rispettiva domanda, esaminata e respinta nella sentenza impugnata, ma deve avanzare appello incidentale condizionato”.

In applicazione del principio enunciato e sopra riportato, la Cassazione ha ritenuto infondato il ricorso proposto da V.R., in quanto, essendo le domande da quest’ultimo proposte avvinte da un nesso di cumulo alternativo sostanziale per incompatibilità, il ricorrente avrebbe dovuto proporre appello incidentale condizionato per far valere in sede di gravame le domande contro la Regione Lazio e il Comune di Latina respinte dal Tribunale.

Per leggere il testo integrale della sentenza della Cassazione, Sezioni Unite, del 4 dicembre 2024, n. 31136 clicca qui: https://www.cortedicassazione.it/resources/cms/documents/31136_12_2024_civ_noindex.pdf

Per leggere il testo integrale dell’ordinanza interlocutoria della Cassazione del 6 febbraio 2024, n. 3358 clicca qui: https://www.cortedicassazione.it/resources/cms/documents/3358_02_2024_civ_noindex.pdf

Con decreto del 10 ottobre 2024, la Prima Presidente della Corte di Cassazione ha dichiarato l’ammissibilità del rinvio pregiudiziale disposto dal Tribunale di Siracusa ai sensi dell’art. 363 bis c.p.c. in tema di obblighi restitutori in caso di mutuo.

La questione centrale posta alla base dell’ordinanza di rinvio attiene al momento in cui, in alcune convenzioni negoziali, sia possibile ravvisare una traditio che comporti effettivamente la disponibilità delle somme mutuate in capo al mutuatario, con corollari di notevolissimo rilievo anche dal punto di vista dell’idoneità del contratto, ove stipulato nelle forme dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata da notaio, ad integrare un titolo esecutivo.

Più precisamente, le questioni di diritto oggetto del rinvio pregiudiziale possono essere riassunte come segue:

  • se, in presenza di accordo negoziale con cui una banca concede una somma a mutuo effettivamente erogandola al mutuatario ma convenendo al tempo stesso che tale importo sia immediatamente ed integralmente restituito alla mutuante con l’intesa che esso sarà svincolato in favore del mutuatario solo al verificarsi di determinate condizioni, la configurabilità a carico del medesimo mutuatario di una obbligazione attuale di restituzione della somma – per gli effetti di cui all’art. 474 , comma 1, c.p.c. – imponga inderogabilmente che l’importo erogato sia stato successivamente svincolato in favore del mutuatario ovvero se, al contrario, possano prospettarsi regolamenti contrattuali idonei a determinare l’insorgenza di un obbligo restitutorio caratterizzato da attualità anche prima del detto svincolo”;
  • conseguentemente, se, in presenza di accordo negoziale con cui una banca concede una somma a mutuo effettivamente erogandola al mutuatario ma convenendo al tempo stesso che tale importo sia immediatamente ed integralmente restituito alla mutuante con l’intesa che esso sarà svincolato in favore del mutuatario solo al verificarsi di determinate condizioni, il contratto così stipulato nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata possa fungere da titolo esecutivo ai sensi dell’art. 474, comma 2, n. 3, c.p.c. contro il mutuatario solo allorché nelle medesime forme dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata sia attestato lo svincolo delle somme già mutuate e ritrasferite alla mutuante ovvero se, al contrario, un siffatto contratto concluso nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata possa costituire titolo esecutivo ai sensi dell’art. 474, comma 2, n. 3, c.p.c. anche in assenza di attestazione dello svincolo effettuata secondo le modalità previste da tale ultima disposizione, allorché il regolamento contrattuale sia idoneo a determinare l’insorgenza di un obbligo restitutorio caratterizzato da attualità anche prima di detto svincolo”.

La Prima Presidente ha ritenuto ammissibili le questioni sollevate dal Tribunale di Siracusa essendo le stesse oggetto di un contrasto giurisprudenziale non ancora risolto dalla Cassazione.

Secondo un primo orientamento l’accordo negoziale stipulato nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata, con cui una banca concede una somma a mutuo effettivamente erogandola al mutuatario ma convenendo al tempo stesso che tale importo sia immediatamente ed integralmente restituito alla mutuante con l’intesa che esso sarà svincolato in favore del mutuatario solo al verificarsi di determinate condizioni, è da solo idoneo a costituire titolo esecutivo nonostante all’erogazione iniziale del denaro al cliente abbiano fatto immediato seguito la sua restituzione alla banca e la sua costituzione in deposito (v. ex multis Cass. 9229/2022).

Secondo altro orientamento invece il predetto accordo “ancorchè idoneo a perfezionare un contratto reale di mutuo, non consente di ritenere che dal negozio stipulato tra le parti risulti una obbligazione attuale, in capo al mutuatario, di restituzione della predetta somma (immediatamente rientrata nel patrimonio della mutuante) in quanto tale obbligo sorge, per esplicita volontà delle parti stesse, solo nel momento in cui l’importo erogato è successivamente svincolato ed entrato nel patrimonio del soggetto finanziato”. I fautori del secondo orientamento ritengono di escludere che un siffatto contratto possa costituire titolo esecutivo contro il mutuatario “essendo necessario a tal fine un ulteriore atto, necessariamente consacrato nelle forme richieste dall’art. 474 c.p.c. (atto pubblico o scrittura privata autenticata) attestante l’effettivo svincolo della somma già mutuata (e ritrasferita alla mutuante) in favore della parte mutuataria, sorgendo in capo a quest’ultima, solo da tale momento, l’obbligazione di restituzione di detto importo” (v. la recentissima Cass., 12007/2024).

Il tema centrale dell’ordinanza di rinvio presenta numerose difficoltà interpretative e costituisce questione di massima particolare importanza, essendo in parte già oggetto di altro precedente giurisprudenziale della stessa Corte di Cassazione.

Il riferimento è all’ordinanza interlocutoria n. 18903 del 10 luglio 2024, che ha rimesso alle Sezioni Unite la questione, seppur differente da quella affrontata dal Tribunale di Siracusa, riguardante il c.d. ‘mutuo solutorio’ stipulato per ripianare la pregressa esposizione debitoria del mutuatario verso il mutuante. Per l’esame dei diversi orientamenti in materia si rinvia ad un nostro precedente commento (v. sul nostro sito l’articolo di Camilla Maranzano “Profili giuridici del mutuo solutorio e la possibile rimessione alle Sezioni Unite”).

In conclusione, la Prima Presidente ha ammesso il rinvio sollevato dal Tribunale di Siracusa assegnando il suo esame alle Sezioni Unite.

Per leggere il testo integrale del decreto della Prima Presidente della Cassazione e dell’ordinanza di rinvio pregiudiziale del Tribunale di Siracusa clicca qui:

https://www.cortedicassazione.it/page/it/ordinanza_pregiudiziale_31072024?contentId=RPC33455

Sullo stesso tema leggi anche sul nostro sito l’articolo di Camilla Maranzano “Profili giuridici del mutuo solutorio e la possibile rimessione alle Sezioni Unite”.

Con l’ordinanza interlocutoria n. 19900 del 2024 la Corte di Cassazione ha disposto la trasmissione degli atti alla Prima Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite delle questioni legate alla validità dei contratti di finanziamento che fanno riferimento all’indice Euribor illecitamente alterato da un accordo restrittivo della concorrenza.

1. – Lo scopo dell’intesa anticoncorrenziale volta all’alterazione dell’Euribor e i contratti ‘a valle’

Nell’ordinanza in commento la Corte ha ritenuto di dover prendere le distanze dall’orientamento giurisprudenziale formatosi in seno alla Terza Sezione Civile della Cassazione ed espresso dall’ordinanza n. 34889 del 13 dicembre 2023 e successivamente puntualizzato dalla più recente sentenza n. 12007 del 3 maggio 2024.

La Cassazione, esaminati gli scopi dell’intesa anticoncorrenziale illecita realizzata da alcuni operatori economici e sanzionata dalla Commissione Europea, dubita che i contratti di finanziamento parametrati al tasso Euribor, proprio in ragione dello scopo per cui l’intesa era stata raggiunta, possano considerarsi propriamente contratti “a valle” non risultando essenziali a realizzare e ad attuare gli effetti dell’accordo illecito.

Secondo la ricostruzione operata nell’ordinanza interlocutoria, l’intesa restrittiva accertata dalla Commissione Europea“era orientata alla riduzione dei flussi di cassa che i partecipanti avrebbero dovuto pagare a titolo degli «EIRD» o dall’aumento di quelli che essi dovevano ricevere a tale titolo e ha, dunque, riguardato un mercato, quello degli «EIRD», diverso da quello dei mutui a tasso variabile, di cui partecipa sia il contratto dedotto in giudizio, sia quelli interessati dalle richiamate pronunce della Terza Sezione”.

Ciò premesso, afferma la Corte, concernendo l’intesa illecita il diverso mercato degli «EIRD», i contratti di finanziamento che richiamano per la determinazione del tasso l’indice Euribor non possono costituire il mezzo di violazione della normativa antitrust “e ciò a prescindere da ogni considerazione in ordine alla conoscenza dell’esistenza dell’intesa illecita e/o dall’intenzione di avvalersi del relativo risultato oggettivo”.

La Corte ritiene che sia opportuno rivedere l’orientamento della Terza Sezione che, muovendo dai principi espressi dalla richiamata decisione delle Sezioni Unite n. 41994 del 30 dicembre 2021, è giunto alla conclusione per cui “l’accertamento dell’intesa restrittiva della concorrenza determina sempre la nullità dei contratti «a valle» che ne costituiscono attuazione”.

Secondo la Corte, un’indiscriminata estensione del principio a tutti i contratti “a valle” di intese restrittive della concorrenza “potrebbe condurre a conclusioni inappaganti o, comunque, inefficienti nelle ipotesi in cui tali contratti siano vantaggiosi – quanto meno nel breve periodo – per il contraente del mercato a valle, esponendo quest’ultimo all’azione di nullità del concorrente pregiudicato dall’intesa illecita”.

Per tali ragioni, nell’ordinanza in commento, la Corte ritiene che sia preferibile “una lettura restrittiva” dei principi espressi dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 41994 del 30 dicembre 2021 resa con riguardo ad uno specifico fenomeno relativo alla riproduzione in contratti di fideiussione di clausole rispondenti allo schema predisposto dall’ABI dichiarate frutto di intesa restrittiva della concorrenza dalla Banca d’Italia e il cui effetto era proprio quello di rendere la disciplina più gravosa per il contraente, imponendogli maggiori obblighi e senza riconoscergli alcun corrispondente diritto.

La Corte ritiene che, nel caso di specie, l’alterazione dell’indice Euribor ad opera dell’intesa anticoncorrenziale – e quindi per fatto illecito del terzo – non possa determinare, alla luce dell’impianto codicistico, la nullità dei contratti di finanziamento che per la determinazione degli interessi dovuti facevano riferimento proprio al predetto parametro.

L’illecito del terzo, secondo quanto affermato nell’ordinanza interlocutoria, “oltre a non determinare nullità nel quadro della disciplina antitrust, una volta escluso che contratti come quello in discorso possano essere considerati quali contratti «a valle», produce, nell’impianto codicistico, limitate ricadute, quanto a validità, sul contratto al quale il terzo è estraneo e, comunque, non in termini di nullità, ma semmai di annullabilità, giusta il disposto del secondo comma dell’art. 1439 cod. civ., cui la citata sentenza della Terza sezione parrebbe del resto voler alludere, laddove discorre di «prova della conoscenza di tali intese e/o pratiche da parte di almeno uno dei contraenti»; il che rende, però, disagevole ricostruire quale sia la base normativa della «eventuale possibilità di sostituzione del parametro richiamato dalla clausola contrattuale con un altro valore»”.

A ciò la Corte aggiunge che la clausola determinativa degli interessi del contratto di mutuo a mezzo dell’Euribor non possa considerarsi nulla neppure facendo riferimento alla disciplina consumeristica “se si considera che l’art. 33 cod. cons. colloca al di fuori della presunzione di vessatorietà le pattuizioni concernenti «prodotti o servizi il cui prezzo è collegato alle fluttuazioni … di un tasso di mercato finanziario non controllato dal professionista»”.

L’illecito del terzo non sarebbe in grado neppure di far venir meno l’esistenza del consenso delle parti. Ciò varrebbe, dice la Cassazione, non solo per quanto riguarda i contratti stipulati prima del 29 settembre 2005, ma anche per quelli stipulati nell’arco temporale del triennio coperto dalla decisione (si precisa che la Commissione Europea con la decisione del 4 dicembre 2013 aveva accertato l’illecita alterazione dell’indice Euribor per il periodo dal 29 settembre 2005 al 30 maggio 2008).

L’ordinanza interlocutoria partendo dalla premessa per cui “l'Euribor non è il tasso di interesse applicato in contratto, ma un mero indice di mercato impiegato quale fattore di calcolo della misura del tasso di interesse” ritiene che “l’accordo contrattuale si forma – e, in tal senso, si obiettivizza – sull’applicazione dell’indice Euribor, così come ufficialmente stabilito e dunque inteso nel suo dato formale, indipendentemente dalla correttezza del procedimento seguito per la sua rilevazione”.

L’indicazione dei tassi di interesse solitamente convenuti nei contratti di finanziamento “mediante rinvio a parametri elaborati da istituzioni sovranazionali” – come quello oggetto di giudizio che prevede quale parametro di riferimento l’Euribor –, per la Cassazione, sarebbe quindi conforme al principio della determinatezza o determinabilità dell’oggetto del contratto ex art. 1346 cod. civ. in quanto, nei predetti casi, le parti si limiterebbero “a richiamare, volendo guardare realisticamente al tema, non già la complessa formula di calcolo dell’Euribor, plausibilmente ignota al mutuatario, e non di rado forsanche al mutuante, bensì un fatto esterno al contratto che è assunto nel regolamento negoziale nella sua oggettività, per come risultante dal dato numerico ufficiale che ne esprime il significato, ossia il suo valore”.

L’alterazione del parametro richiamato in contratto ai fini della determinazione del tasso di interesse del finanziamento rileverebbe piuttosto nel processo di formazione della volontà delle parti determinando una “falsa rappresentazione della realtà”, con la conseguenza che la parte potrà fare ricorso agli ordinari rimedi previsti per i vizi del consenso o per la violazione del generale principio del neminem ledere.

Su tale ultimo punto, la Corte precisa che la violazione del principio del neminem ledere dovrà essere fatta “valere ovviamente nei confronti di chi l’illecito ha commesso”.

Tale soluzione sarebbe da preferire, in quanto, contrariamente al rimedio della nullità, non esporrebbe il mutuatario alla restituzione del capitale residuo mutuato o comunque al versamento di maggiori interessi.

2. – Sintesi delle questioni rimesse alle Sezioni Unite

A conclusione dell’ordinanza interlocutoria in commento, la Corte di Cassazione ha ritenuto opportuno rimettere la causa alla Prima Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, al fine di dirimere le seguenti questioni di diritto:

-“se il contratto di mutuo contenente la clausola di determinazione degli interessi parametrata all’indice Euribor costituisca un negozio «a valle» rispetto all’intesa restrittiva della concorrenza accertata, per il periodo dal 29 settembre 2005 al 30 maggio 2008, dalla Commissione dell’Unione Europea con decisioni del 4 dicembre 2013 e del 7 dicembre 2016, o se, invece, indipendentemente dalla partecipazione del mutuante a siffatta intesa o dalla sua conoscenza dell’esistenza di tale intesa e dell’intenzione di avvalersi del relativo risultato, tale non sia, mancando il collegamento funzionale tra i due atti, necessario per poter ritenere che il contratto di mutuo costituisca lo sbocco dell'intesa vietata, essenziale a realizzarne e ad attuarne gli effetti”;

- “se la alterazione dell’Euribor a causa di fatti illeciti posti in essere da terzi rappresenti una causa di nullità della clausola di determinazione degli interessi di un contratto di mutuo parametrata su tale indice per indeterminabilità dell’oggetto o piuttosto costituisca un elemento astrattamente idoneo ad assumere rilevanza solo nell’ambito del processo di formazione della volontà delle parti, laddove idoneo a determinare nei contraenti una falsa rappresentazione della realtà, ovvero quale fatto produttivo di danni”.

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https://www.cortedicassazione.it/resources/cms/documents/19900_07_2024_civ_noindex.pdf

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