Con la sentenza n. 5657 del 23 febbraio 2023 le Sezioni Unite della Cassazione si sono espresse in merito alla meritevolezza ai sensi dell’art. 1322 c.c. di un contratto di leasing immobiliare con clausola di ‘rischio cambio’ in valuta estera, escludendone la natura di strumento finanziario derivato.

I fatti di causa

Il caso esaminato dalla Corte riguarda la validità o meno di un contratto di leasing immobiliare in valuta estera (franco svizzero) con clausola di ‘rischio cambio’.

In primo grado, in seguito all’opposizione a decreto ingiuntivo promossa dalla soc. utilizzatrice, il Tribunale di Udine aveva ritenuto che la clausola in cui era prevista la variazione del canone in funzione sia del tasso LIBOR che del tasso di cambio tra l'Euro ed il franco svizzero contenesse in realtà due strumenti finanziari derivati, autonomi rispetto al contratto di leasing. Pertanto, il contratto doveva ritenersi nullo a causa della violazione degli obblighi di informazione precontrattuale prescritti dal d.lgs. 58/98.

L’impugnazione proposta dalla concedente è stata rigettata dalla Corte d’appello di Trieste, seppur con motivazione diversa da quella del Tribunale.

Secondo la Corte d'appello l'intero contratto sottoposto al suo esame era da configurare come “una sorta di swap”, da qualificarsi come un contratto ‘aleatorio’ e rientrante nel genus delle scommesse.

La Corte ha poi aggiunto che “la clausola di ancoraggio del canone al tasso di cambio tra franco svizzero ed Euro era "astrusa, macchinosa, complessa e oscura", e provocava uno "squilibro nelle prestazioni", in quanto la formula di calcolo del "rischio cambio" differiva a seconda che la variazione fosse favorevole o sfavorevole al concedente; che il contratto era stato qualificato come "contenente elementi riconducibili a strumenti finanziari derivati" anche dal consulente d'ufficio nominato in primo grado; che al momento della stipula - sempre ad avviso del c.t.u. - era "prevedibile un apprezzamento del franco" rispetto all'Euro”.

Ciò premesso, la Corte d'appello accoglieva l'opposizione al decreto ingiuntivo sulla base del fatto che la clausola di rischio cambio era “invalida ex art. 1322, comma 2, c.c.”, e non già perché il contratto fosse nullo a causa della violazione degli obblighi di informazione precontrattuale prescritti dal d. lgs. 58/98, come invece aveva ritenuto il Tribunale.

L’ordinanza interlocutoria

In seguito al ricorso per cassazione promosso dalla società concedente, con ordinanza interlocutoria 16 marzo 2022 n. 8603 la Terza Sezione civile della Cassazione ha rimesso gli atti al Primo Presidente, affinché fosse valutata l'opportunità di assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.

Nella predetta ordinanza, ravvisata l'esistenza di contrastanti decisioni circa la validità di clausole come quella in esame, è stato sollecitato l’intervento delle Sezioni Unite in merito alle seguenti questioni:

  • a) se la clausola di cui si discorre sia un mero meccanismo di indicizzazione, oppure costituisca una "scommessa", o comunque abbia una finalità speculativa”;
  • b) se la suddetta clausola muti la causa del contratto di leasing, "inquinandola", ed in questo caso con quali effetti”;
  • c) se la relativa pattuizione, a causa della sua oscurità, violi i doveri di correttezza e buona fede da parte del predisponente”.

Il giudizio di meritevolezza e lo ‘scopo pratico’ del contratto

Le Sezioni Unite hanno ritenuto fondato il secondo motivo di ricorso con cui il ricorrente aveva censurato la sentenza impugnata per violazione dell’art. 1322 c.c.

Il giudizio di “meritevolezza” di cui all'art. 1322, comma 2, c.c., dicono le Sezioni Unite, richiamando un orientamento consolidato (S.U. 4222/2017), è un giudizio che deve investire non il contratto in sé, ma il risultato che con esso hanno avuto di mira le parti (cioè lo scopo pratico, la causa concreta).

La causa concreta del contratto è immeritevole solo quando sia contraria “alla coscienza civile, all'economia, al buon costume od all'ordine pubblico”.

Tali principi, già affermati nella Relazione al Codice Civile, risultano oggi consacrati agli artt. 2, secondo periodo, 4, comma 2, e 41, comma 2 Cost.

Nella sentenza in commento, le Sezioni Unite hanno altresì precisato che affinché un patto atipico possa dirsi “immeritevole”, ai sensi dell'art. 1322 c.c., non è sufficiente che il contratto sia poco conveniente per una delle parti, ma “è necessario accertare la contrarietà (non del patto, ma) del risultato cui esso mira con i principi di solidarietà, parità e non prevaricazione che il nostro ordinamento pone a fondamento dei rapporti privati”.

Le argomentazioni della Corte d’appello sono state considerate, come vedremo, irrilevanti ai fini del giudizio di meritevolezza della clausola ‘rischio cambio’ contenuta nel contratto di leasing immobiliare in valuta estera.

Il contratto con clausola ‘astrusa’

La presenza nel contratto di una clausola contrattuale “astrusa” non rende il contratto nullo o “immeritevole” ex 1322 c.c., ma impone al Giudice di fare ricorso agli strumenti legali di ermeneutica (“la clausola oscura andrà dunque interpretata, in mancanza di altri criteri, almeno in modo che le si possa dare un senso (artt. 1371 c.c.), oppure contra proferentem (art. 1370 c.c.)”.

Il contratto con clausola ‘macchinosa’

Neppure la presenza di una clausola contrattuale “macchinosa” è idonea a fondare il giudizio di non meritevolezza. Al più la stessa potrà rendere il contratto annullabile laddove abbia inciso sulla formazione del consenso del contraente (consenso dato per errore o carpito con dolo) o potrà influire sulla violazione del dovere di fornire tutte le necessarie informazioni precontrattuali, ove imposte dalla legge o dalla buona fede.

Le Sezioni Unite ricordano come siano stati elaborati dalla prassi commerciale numerosi contratti che prevedono necessariamente clausole articolate e complesse (ad es. i contratti di handling aeroportuale, le assicurazioni dei rischi agricoli, il noleggio di piattaforme off-shore, il project financing di opere pubbliche, ma anche i contratti di massa come quelli di somministrazione di energia elettrica), ma non per questo gli stessi devono essere considerati immeritevoli di tutela.

Il contratto aleatorio

Secondo la Corte d’appello, la clausola di ‘rischio cambio’ nel contratto in esame era caratterizzata da “aleatorietà e squilibrio”, in quanto prevedeva una differente base di calcolo dell’indicizzazione a seconda che l’euro si fosse apprezzato o deprezzato rispetto alla valuta di riferimento.

Per le Sezioni Unite un contratto aleatorio non può dirsi, per ciò solo, immeritevole di tutela: “la sentenza impugnata mostra di confondere l'alea economica, insita in ogni contratto, con l'alea giuridica, che del contratto forma invece oggetto e ne è elemento essenziale: e cioè la susceptio periculi. E nel caso di specie causa del contratto era il trasferimento della proprietà di un immobile, non il trasferimento di un rischio dietro pagamento di un prezzo”.

La vendita del raccolto futuro, l'assicurazione sulla vita a tempo determinato per il caso di morte, la rendita vitalizia, ricordano le Sezioni Unite, sono tutti contratti aleatori previsti dalla legge.

Allora se è la stessa legge a consentire la stipula di contratti aleatori, la stessa aleatorietà non può ritenersi di per sé caratteristica idonea a rendere il contratto ‘immeritevole’ ai sensi dell’art. 1322, co. 2, c.c.

Non solo la legge, ma anche l’autonomia negoziale consente alle parti di stipulare contratti aleatori atipici non espressamente previsti dalla legge (v. il caso del vitalizio atipico di cui è stata affermata in giurisprudenza la liceità e la meritevolezza).

Lo squilibrio delle prestazioni

Per le Sezioni Unite, lo “squilibrio” delle prestazioni, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte d’appello, non è idoneo a fondare un giudizio di immeritevolezza contrattuale.

La clausola di ‘rischio cambio’, secondo il giudice di secondo grado, determinava uno squilibrio tra le obbligazioni dei contraenti non essendo simmetrica la variazione del saggio degli interessi tra il concedente e l’utilizzatore.

Le Sezioni Unite non concordano sul fatto che il concetto di ‘equilibrio delle prestazioni’ in un contratto sinallagmatico debba consistere in una paritaria e perfetta equipollenza tra le contrapposte obbligazioni.

Evocando in modo suggestivo l’immaginedel ‘letto di Procuste’, le Sezioni Unite sostengono che ogni minimo disallineamento della predetta parità non possa essere sindacato dal giudice “amputando parti del contratto per ricondurlo all’equità”.

La ragione è che “il diritto dei contratti… non impone l'assoluta parità tra le parti quanto a condizioni, termini e vantaggi contrattuali”.

Un’interpretazione diversa si porrebbe in contrasto con il principio cardine del nostro ordinamento della libertà negoziale.

Nello svolgimento della libera iniziativa economica, ciascuno ha il diritto di pianificare in piena libertà le proprie scelte imprenditoriali e commerciali pur sempre nel rispetto delle regole e della buona fede.

Alla luce di ciò lo squilibrio tra prestazione e controprestazione, laddove sia la conseguenza di una decisione assunta in piena libertà ed autonomia, non determina l’immeritevolezza del contratto.

Contro lo squilibrio (economico) tra le prestazioni, precisano le Sezioni Unite, quando lo stesso è genetico, è ammesso come rimedio il ricorso alla rescissione per lesione, quando è sopravvenuto il rimedio della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta.

Il giudizio di meritevolezza va formulato in concreto ed ex post

La valutazione circa la validità o la meritevolezza di un patto contrattuale - in forza del principio per cui cum nulla subest causa, constare non potest obligatio - non può mai limitarsi all'esame del suo contenuto, senza apprezzarne gli effetti, e senza valutare se essi siano sorretti da una giusta causa.

Il giudizio sulla meritevolezza, affermano le Sezioni Unite, non può essere formulato in astratto ed ex ante, ma va compiuto in concreto ed ex post, ricercando lo scopo perseguito dalle parti.

La clausola di ‘rischio cambio’, affermano le Sezioni Unite, contrariamente a quanto sostenuto dal giudice di secondo grado, avrebbe potuto avere varie giustificazioni (“Se infatti il franco svizzero si fosse apprezzato rispetto all'Euro, il concedente avrebbe ricevuto una prestazione (in Euro) di valore nominale inferiore a quella che gli sarebbe spettata in valore reale, e tale riduzione avrebbe riguardato l'intero credito: sia la parte pagata dall'utilizzatore a titolo di rimborso del finanziamento, sia la parte pagata a titolo di imposta. Il concedente, dunque, in tal caso avrebbe ricevuto un corrispettivo inferiore a quello preventivato, e ciò avrebbe alterato il suo piano finanziario: e questa sarebbe potuta essere teoricamente una valida ragione per porre a base del calcolo del conguaglio anche l'IVA. Se invece il franco svizzero si fosse deprezzato rispetto all'Euro, l'utilizzatore avrebbe versato (in Euro) una prestazione in valore nominale superiore a quella che avrebbe dovuto versare in valore reale. Ma degli importi versati dall'utilizzatore, però, il concedente doveva necessariamente stornarne un'aliquota a titolo di IVA, e di tale importo non sarebbe stato in potere del concedente pretenderne la restituzione dall'erario, per restituire l'eccedenza all'utilizzatore: e questa sarebbe potuta essere teoricamente una valida ragione per porre a base del calcolo del conguaglio anche l'IVA.”

In conclusione, le circostanze accertate dalla Corte di appello (aleatorietà, difficoltà di interpretazione, asimmetria delle prestazioni) sono irrilevanti ai fini del giudizio di meritevolezza previsto dall’art. 1322 c.c.

Sulle questioni poste dall’ordinanza di rimessione. La definizione di strumento finanziario derivato.

In relazione alle questioni poste dall’ordinanza interlocutoria e più sopra riassunte, le Sezioni Unite hanno escluso che la clausola inserita nel contratto di leasing che faccia dipendere gli interessi dovuti dall'utilizzatore dalla variazione di un indice finanziario insieme ad un indice monetario, costituisca uno strumento finanziario derivato o piuttosto un ‘derivato implicito’.

La clausola di ‘rischio cambio’ non rientra nella nozione di derivato contenuta dell’art. 1 del d.lgs. 58/1998 nè in base alla normativa vigente né in base a quella ratione temporis applicabile (anteriore alle modifiche operate dal d.lgs. 303/2006).

Secondo le Sezioni Unite la clausola in esame non costituisce derivato “per la semplice ragione che attraverso essa le parti non hanno scambiato nulla; né hanno inteso trarre frutto da uno scambio di valori comunque determinati”.

Per effetto del contratto, avente ad oggetto la locazione finanziaria dell'immobile, la società concedente ha assunto l'obbligo di acquistare l'immobile, la società utilizzatrice quello di goderne e restituire le rate.

Non era interesse delle parti, dicono le Sezioni Unite, concludere quel contratto “per lucrare sulle previste fluttuazioni valutarie, e tanto meno per coprire un rischio di credito”.

La clausola che àncora il saggio degli interessi dovuti dal debitore di un contratto di leasing ad un indice monetario non costituisce una compravendita né un'opzione, e tanto meno aveva lo scopo di coprire un certo rischio o "scommettere" sull'andamento dei cambi.

La clausola, continuano le Sezioni Unite, “si limitava ad agganciare il debito dell'utilizzatore ad un valore monetario, e questa Corte ha già stabilito che rientrano nella categoria degli "strumenti finanziari collegati alla valuta" soltanto quelli per mezzo dei quali le parti intendono speculare sull'andamento del mercato delle valute, e non quelli che si limitano a determinare il valore d'una prestazione rinviando ad un indice monetario, comunque determinato (Sez. 1, Sentenza n. 19226 del 04/09/2009, in motivazione)”.

Gli elementi fondanti uno strumento finanziario derivato sono principalmente tre (e sono stati individuati dalle S.U. Cass. 8770/2020):

  1. la c.d. "differenzialità", e cioè l'intento delle parti di trarre vantaggio dalla differenza di due valori variabili;
  2. l'esistenza di un "capitale nozionale", cioè la somma di denaro astrattamente assunta quale base di calcolo dei reciproci flussi finanziari tra le parti:
  3. la possibilità - tipica dei derivati - di sciogliersi da esso avvalendosi dell'opzione "mark to market".

I predetti tre requisiti non sussistono nel caso del leasing immobiliare in valuta estera con clausola di ‘rischio cambio’ in quanto l’oggetto del negozio è indubitabilmente l'acquisto di un immobile e non la speculazione su un titolo; il capitale produttivo dei flussi finanziari è reale e realmente dovuto, e non già nozionale; non è prevista la possibilità di sciogliersi avvalendosi dell’opzione.

La clausola di rischio cambio non ‘inquina’ la causa del contratto di leasing

In relazione poi all’altra questione sollevata dall’ordinanza interlocutoria e cioè “se la clausola di rischio cambio snaturi la causa del contratto di leasing”, le Sezioni Unite hanno dato risposta negativa.

Per stabilire se un contratto, a causa di pattuizioni eterogenee rispetto al suo schema tipico, abbia mutato causa e natura, occorre attenersi a tre criteri:

  • la qualificazione del contratto come “atipico” deve dipendere dai suoi effetti giuridici, non da quelli economici” nel senso che occorre “avere riguardo all'intento negoziale delle parti, non al risultato economico di esso, e tanto meno alla sua convenienza per una delle parti”;
  • un contratto non muta natura e causa, sol perché uno dei suoi elementi presenti un'occasionale difformità rispetto allo schema legale tipico” nel senso che il rapporto deve divenire del tutto estraneo al tipo normativo;
  • le prestazioni atipiche poste a carico di una delle parti non mutano la causa tipica del contratto, se in questo permane la prevalenza degli elementi propri dello schema tipico”.

Ciò premesso, le Sezioni Unite giungono alla conclusione che “la previsione di maggiori o minori obblighi a carico di una delle parti, rispetto a quelli scaturenti dallo schema contrattuale tipico, non è di per sé sufficiente a concludere che quel contratto, merce' la pattuizione di quegli obblighi aggiuntivi, abbia mutato causa e natura”.

Alla luce dei predetti principi la presenza della clausola di rischio cambio nel contratto di leasing non consente di affermare “che, mercè essa, scopo dell'utilizzatore non fu acquisire un immobile, ma fu investire del denaro per realizzare un lucro finanziario invece che commerciale”.

La clausola di rischio cambio non è contraria a buona fede.

In merito all’ultima questione sollecitata dall’ordinanza interlocutoria, le Sezioni Unite hanno affermato che il giudizio di meritevolezza del contratto e quello riguardante il rispetto del dovere di buona fede servono a stabilire cose diverse.

Il giudizio di meritevolezza serve a stabilire se il contratto possa produrre effetti, mentre quello sul rispetto della buona fede serve a stabilire ad esempio, prima della stipula, se il consenso di una delle parti sia stato carpito con dolo o dato per errore, e, dopo la stipula, a stabilire come debba interpretarsi il contratto (art. 1366 c.c.). Ancora, dopo l'adempimento, può servire a stabilire se questo sia stato inesatto (art. 1375 c.c.).

Mentre il contratto immeritevole è improduttivo di effetti, il contratto eseguito senza buona fede fa sorgere il diritto alla risoluzione o al risarcimento del danno.

Alla luce di questi noti principi, le Sezioni Unite, hanno affermato che “la sola pattuizione di una clausola di rischio cambio come quella oggetto del presente giudizio non può costituire, da sola, violazione dei doveri di correttezza e buona fede da parte di un intermediario creditizio o finanziario”.

I principi di diritto enunciati dalle Sezioni Unite

A conclusione della disamina, le Sezioni Unite hanno affermato con la sentenza in commento i seguenti principi di diritto:

- “il giudizio di "immeritevolezza" di cui all'art. 1322, comma 2, c.c. va compiuto avendo riguardo allo scopo perseguito dalle parti, e non alla sua convenienza, né alla sua chiarezza, né alla sua aleatorietà";

- "La clausola inserita in un contratto di leasing, la quale preveda che: a) la misura del canone varii in funzione sia delle variazioni di un indice finanziario, sia delle fluttuazioni del tasso di cambio tra la valuta domestica ed una valuta straniera; b) l'importo mensile del canone resti nominalmente invariato, e i rapporti di dare/avere tra le parti dipendenti dalle suddette fluttuazioni siano regolati a parte; non è un patto immeritevole ex art. 1322 c.c., né costituisce uno "strumento finanziario derivato" implicito, e la relativa pattuizione non è soggetta alle previsioni del d.lgs. 58/98".

Per leggere il contenuto integrale della sentenza delle Sezioni Unite clicca qui:

https://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/5657_02_2023_civ_no-index.pdf

Con la sentenza n. 33719 del 16 novembre 2022 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, ponendo fine ad un’annosa querelle giurisprudenziale, si sono espresse circa la sorte del mutuo fondiario concesso in violazione dei limiti previsti dall’art. 38, co. 2, t.u.b. escludendo la nullità dello stesso.

La questione, ritenuta di particolare rilevanza, era stata rimessa allo scrutinio delle Sezioni Unite dalla Prima Sezione della Cassazione con l’ordinanza interlocutoria del 9 febbraio 2022, n. 4117 (oggetto di un nostro precedente commento, clicca qui per leggere l’articolo: “La sorte del mutuo fondiario in violazione dei limiti di finanziabilità richiamati dall’art. 38 del Testo Unico Bancario”).

1. - L’orientamento seguito dalla sentenza della Cassazione n. 26672 del 2013

L’orientamento più risalente ripercorso dalle Sezioni Unite è quello seguito dalla sentenza n. 26672 del 2013 (v. conformi sentenze successive: cfr. n. 27380 del 2013, n. 22446 del 2015, n. 13164 del 2016) che ha escluso che la previsione del limite di finanziabilità di cui all'art. 38, co. 2, t.u.b. possa rientrare nell'ambito applicativo dell'art. 117, co. 8, t.u.b.

Tale norma risulta attribuire alla Banca d'Italia “un potere conformativo o tipizzatorio”, in ragione del quale essa può stabilire il contenuto di certi contratti prevedendo clausole-tipo da inserirenel regolamento negoziale a tutela del contraente debole, mentre l’art. 38, co. 2, t.u.b. conferisce all’organismo di vigilanza “non già il potere di stabilire una certa clausola del contratto di mutuo fondiario bensì solo quello di determinare la percentuale massima del finanziamento che costituisce l'oggetto del contratto e che è quindi un elemento di per sé già tipizzato e costituente una clausola necessaria”.

Le due norme secondo l’orientamento in esame andrebbero poi a tutelare interessi diversi.

L’art. 117 t.u.b. è una norma orientata alla tutela dei contraenti più deboli ed ha lo scopo di “prevenire, tramite l'inserimento di clausole standard, l'utilizzazione da parte delle banche di schemi contrattuali di difficile lettura od interpretazione da parte del cliente ovvero recanti clausole onerose o eccessivamente vessatorie” con l’ovvia conseguenza che le violazioni delle disposizioni della Banca d'Italia attuative dell'art. 117 t.u.b., costituendo fonti di nullità relative, possono essere fatte valere solo dal cliente, cioè dal contraente più debole.

Diversa è invece la situazione sottostante all’art. 38, co. 2, t.u.b., in cui vi è un soggetto, il cliente, che ha tutto l’interesse ad ottenere il finanziamento, peraltro, nel massimo importo possibile e quindi anche a prescindere dal limite di finanziabilità.

Secondo l’orientamento seguito da Cass n. 26672 del 2013, l’art. 38, co. 2, t.u.b. non rileverebbe in quanto norma inderogabile sulla validità del contratto, ma piuttosto come norma di buona condotta la cui violazione comporta l’irrogazione delle sanzioni previste dall'ordinamento bancario, nonché eventuale responsabilità.

Tale giurisprudenza ha escluso che il mutuo fondiario concesso in violazione dei limiti di cui all’art. 38, co. 2, t.u.b. debba ritenersi nullo per contrarietà a norme imperative, in base agli argomenti qui di seguito riassunti:

  • la violazione della norma, pur se imperativa, scaturente dall'art. 38, comma 2, t.u.b. è insuscettibile di provocare la nullità del contratto, non incidendo sul sinallagma contrattuale e, quindi, non concernendo la validità dello stesso, ma investendo esclusivamente il comportamento della Banca tenuta ad attenersi al limite prudenziale ivi stabilito”;
  • "il rispetto del limite del finanziamento non risulta essere una circostanza rilevabile dal contratto, in quanto l'accertamento in proposito può avvenire solo tramite valutazioni estimatorie dell'immobile oggetto di finanziamento suscettibili di opinabilità e soggette a margini di incertezza valutativa e come tali non rilevabili dal testo del contratto”;
  • "la ratio della nuova normativa sul credito fondiario per un verso tende a favorire il ricorso al mutuo fondiario nell'interesse degli imprenditori e, dall'altro, si propone di meglio garantire e tenere indenni le banche che effettuano siffatte operazioni finanziarie con una serie di norme quali, ad esempio, quella sulla revocabilità in sede fallimentare delle ipoteche sottoposta ad un brevissimo termine di dieci giorni”;
  • il limite di finanziamento dei mutui fondiari è una “norma volta ad impedire che le banche si espongano oltre un limite di ragionevolezza a finanziamenti a favore di terzi che, se non adeguatamente garantiti, potrebbero portare a possibili perdite di esercizio”;
  • "essendo il limite di erogabilità del mutuo ipotecario stabilito anche e soprattutto in funzione della stabilità patrimoniale della banca erogante, far discendere dalla violazione di quel limite la conseguenza della nullità del mutuo ormai erogato ed il venire meno della connessa garanzia ipotecaria condurrebbe al paradossale risultato di pregiudicare ancor più proprio quel valore della stabilità patrimoniale della banca che la norma intendeva proteggere".

2. – L’orientamento giurisprudenziale seguito dalla sentenza della Cassazione n. 17352 del 2017: il limite di finanziabilità come elemento essenziale del contratto e l’art. 38, co. 2, t.u.b. come norma imperativa.

Successivamente è andato affermandosi nella giurisprudenza di legittimità un orientamento diverso - inaugurato dalla sentenza della Cassazione n. 17352 del 2017 (seguita da sentenze successive conformi: cfr. sez. I, n. 19016 del 2017, n. 6586, 11201, 13286 e 29745 del 2018, n. 10788 del 2022) - che, pur condividendo con il precedente la non riconducibilità dell’art. 38, co. 2, t.u.b. alla nullità di cui all’art. 117, co. 8, t.u.b., ha tuttavia ritenuto che “la prescrizione del limite massimo di finanziabilità da parte della Banca d'Italia in forza della fattispecie in esame "si inserisce in ogni caso tra gli elementi essenziali perché un contratto di mutuo possa dirsi "fondiario"”.

Dal punto di vista della finalità delle norme in esame, secondo l’orientamento espresso da Cass. 17352 del 2017, l’art 38, co. 2, t.u.b. “risponde a una necessità di analitica regolamentazione dettata da obiettivi economici generali (...) attesa la ripercussione che tali tipologie di finanziamenti possono avere sull'economia nazionale" e a una simile ratio della norma - che "non è volta a tutelare la stabilità patrimoniale della singola banca, ma persegue interessi economici nazionali (pubblici)" - è correlato il trattamento di favore accordato alla banca che eroghi un tal tipo di finanziamento, sul versante del consolidamento breve dell'ipoteca fondiaria (art. 39 del T.u.b.) e della peculiare disciplina del processo esecutivo individuale attivabile pur in costanza di fallimento (art. 41)”.

Data la finalità di ordine pubblico perseguita, l’orientamento in esame non dubitache l'art. 38, co. 2, t.u.b. sia norma imperativa.

Considerato poi che il limite di finanziabilità attiene alla struttura del negozio, il suo superamento non può essere confinato ad una questione di mera responsabilità da comportamento (“la fissazione di un limite di finanziabilità (...) non è confinabile nell'area del comportamento nella fase prenegoziale: l'area cioè della contrattazione tra banca e cliente. Nè è correlabile, ovviamente, alla fase attuativa"; "il punto è che tutte le regole giuridiche sono regole di condotta, con la conseguenza che, se è indubbio che l'art. 38, comma 2, del T.u.b. incide su un contegno della banca, è altrettanto indubbio che la soglia stabilita per il finanziamento ha la funzione di regolare il quantum della prestazione creditizia, per modo da incidere direttamente sulla fattispecie”).

In conclusione, secondo l’orientamento in esame, il limite fissato dall’art. 38, co. 2, t.u.b. costituisce un limite inderogabile all’autonomia privata da cui deriva, nel caso del suo superamento, “la nullità dell'intero contratto fondiario” che può essere, però, ai sensi dell’art. 1424 c.c., su istanza di parte – e non d’ufficio dal Giudice – convertito in un contratto diverso (mutuo ordinario).

3. – L'ordinanza interlocutoria della Corte di Cassazione n. 4117 del 2022

L'ordinanza interlocutoria n. 4117 del 2022 ha evidenziato aspetti critici dell’uno e dell’altro orientamento, in vista di una soluzione diversa della questione controversa (v. il nostro approfondimento al seguente link: La sorte del mutuo fondiario in violazione dei limiti di finanziabilità richiamati dall’art. 38 del Testo Unico Bancario).

4. – La decisione delle Sezioni Unite.

4.1. – Il limite di finanziabilità non è elemento essenziale del contratto.

In accordo con i diversi orientamenti giurisprudenziali sopra descritti, nella sentenza in commento le Sezioni Unite hanno affermato che il contratto di mutuo fondiario con superamento del limite massimo di finanziabilità, in mancanza di un’espressa previsione normativa (non riscontrabile nell'art. 117, comma 8, t.u.b.), sicuramente non configura un’ipotesi di nullità testuale.

Controverso è invece il tema se lo stesso possa essere ricondotto ad un’ipotesi di nullità virtuale.

Le Sezioni Unite ricordano che “la mancanza di una espressa sanzione di nullità non è decisiva al fine di escludere la nullità dell'atto negoziale in conflitto con norme imperative, potendo intendersi che ad essa sopperisca l'art. 1418 c.c., comma 1, in quanto letto come espressivo di un principio di indole generale, rivolto a prevedere e disciplinare proprio il caso in cui alla violazione dei precetti imperativi non si accompagni una previsione espressa di nullità del negozio”.

Occorre allora verificare quali siano gli indici sintomatici della imperatività di una norma, che consentono al giudice di dichiarare la nullità del contratto anche nel silenzio del legislatore.

Le norme imperative, secondo la giurisprudenza prevalente, sono quelle che si riferiscono alla struttura o al contenuto del regolamento negoziale. Più in generale ci si riferisce a quelle norme inderogabili concernenti la validità del contratto in modo da distinguerle dalle regole di comportamento che attengono invece alla fase precontrattuale ed esecutiva del contratto.

Per essere imperativa la norma deve disciplinare “direttamente e chiaramente il contenuto specifico ed essenziale del contratto, prima di ogni valutazione inerente alla caratura dell'interesse protetto ed eventualmente leso …In altri termini, una norma prima di essere imperativa dev'essere prescrittiva di un contenuto, specifico e caratterizzante, inerente al sinallagma contrattuale che possa definirsi essenziale, la mancanza del (o difformità dal) quale renderebbe nullo il contratto (ex art. 1418, commi 1 e 2, in relazione agli artt. 1343,1345 e 1346 c.c.)”.

Secondo le Sezioni Unite l’art. 38, co. 2, t.u.b., non individuando un elemento essenziale del contratto, può essere fatto rientrare all’interno di quella categoria di “disposizioni indicative di elementi meramente specificativi, integrativi o accessori di uno dei requisiti del contratto, ovvero genericamente conformativi del modo di atteggiarsi del sinallagma in concreto”.

Il comma 1 e il comma 2 dell’art. 38 t.u.b. sono disposizioni non omogenee diversamente orientate.

Solo la prima delle due disposizioni è volta a stabilire il contenuto essenziale del contratto di mutuo fondiario. Il comma 2, invece, regolamenta il rapporto dell'organismo di vigilanza con le banche vigilate, assegnando alla Banca d'Italia il compito di determinare l'ammontare massimo dei finanziamenti.

Con la conseguenza che tale comma 2 non consente automaticamente di trasferire sul piano del rapporto negoziale con i clienti a valle le conseguenze delle condotte difformi delle banche, al fine di provocare il travolgimento del contratto che si assume viziato per superamento del limite dell’importo finanziabile.

4.1.1. - Gli elementi che portano ad escludere la natura imperativa ed inderogabile dell’art. 38, co. 2, t.u.b.

Un primo elemento che porta ad escludere l’inderogabilità dell’art. 38, co. 2, t.u.b. è dato dal fatto che il limite dell’80% possa essere aumentato sino al 100% in presenza di garanzie integrative offerte dalla parte mutuataria.

Su tale valutazione incide anche il fatto che la norma in esame non indica con precisione gli elementi in grado di determinare il superamento del limite di finanziabilità del mutuo. Ad es. non vengono indicati i criteri di stima del valore dell'immobile, cui viene rapportato in via percentuale l'ammontare massimo del finanziamento. Né viene indicata l'epoca di riferimento della stima. Secondo le Sezioni Unite non si può trascurare “che la determinazione del valore del bene è oggetto di un comportamento dell'istituto di credito che si dispiega nella fase precontrattuale e contrattuale, il cui esito, trasfuso nel testo negoziale, è suscettibile di un giudizio non rispondente a criteri di validità o invalidità contrattuale, ma appropriato alla valutazione di comportamenti negoziali delle parti (e' significativo l'obbligo dei finanziatori di applicare "standard affidabili" di valutazione dei beni immobili nell'attigua normativa sul "credito ai consumatori", art. 120 duodecies del t.u.b.)”.

Un ulteriore elemento contrario alla qualificazione dell’art. 38, co. 2, t.u.b. in termini di imperatività della norma è dato dal fatto che nel contratto di mutuo fondiario l'indicazione del valore del bene offerto in garanzia, o del costo delle opere, non assurge a requisito di forma prescritto ad substantiam.

La nullità, affermano le Sezioni Unite, “è predicabile per violazione di norme di fattispecie o di struttura negoziale solo se immediatamente percepibile dal testo contrattuale, senza laboriose indagini rimesse a valutazioni tecniche opinabili compiute ex post da esperti del settore, come sono invece quelle compiute dai periti cui sia demandato il compito di stimare il bene, ai fini del giudizio sul rispetto del limite di finanziabilità”.

Il rischio – continuano le Sezioni Unite nella loro riflessione - è quello “di minare la sicurezza dei traffici e di esporre il contratto in corso a intollerabili incertezze derivanti da eventi successividipendenti dai comportamenti delle parti nella fase esecutiva (come l'inadempimento o l'insolvenza del mutuatario), tali da innescare la crisi del rapporto negoziale con l'esigenza di verificare ex post l'osservanza del limite di finanziabilità”.

Tali elementi non dovrebbero interferire sulla questione della validità del contratto, questione “che è formale prima che sostanziale”.

Le Sezioni Unite condividono quanto evidenziato dall'ordinanza interlocutoria e cioè che l’art. 38, co. 2, t.u.b., nel conferire alla Banca d'Italia il potere di determinare la percentuale massima del finanziamento, interferisce sul contenuto del contratto non ‘per aggiunta’, ma solo ‘per specificazione’ “imponendo che un elemento intrinseco già presente nel contratto (cioè il suo oggetto) possegga una determinata caratteristica di tipo quantitativo, restando però del tutto invariata la struttura della fattispecie nei suoi fondamentali elementi tipizzati".

Pertanto, le Sezioni Unite escludono che sia configurabile una nullità per un vizio incidente su elementi essenziali intrinseci alla fattispecie negoziale, relativi alla struttura o al contenuto del contratto.

4.1.2. – Il silenzio serbato dal legislatore e l’interesse tutelato dall’art. 38, co. 2, t.u.b.

Le Sezioni Unite si volgono poi a verificare se l’art. 38, co. 2, t.u.b. possa integrare una norma imperativa con riguardo alla caratura dell'interesse protetto ed eventualmente leso.

A tal fine nella sentenza in commento viene fatto richiamo ai principi espressi in tema di nullità negoziale dalle Sezioni Unite con la diversa sentenza n. 8472 del 2022 in cui è stato osservato che: "pur nel polimorfismo che caratterizza la nozione di nullità negoziale, un elemento accomunante nella evoluzione giurisprudenziale si coglie nella tendenza attuale a utilizzare tale nozione - e quella di norma imperativa - come strumento di reazione dell'ordinamento rispetto alle forme di programmazione negoziale lesive di valori giuridici fondamentali"; che "nella ricordata evoluzione giurisprudenziale si è intravisto in dottrina il segno del passaggio dal "dogma della fattispecie" al "dogma dell'interesse pubblico", intendendosi con quest'ultima espressione segnalare, in termini critici, l'eccessiva genericità della nozione e discrezionalità rimessa al giudice nella individuazione di sempre nuove ipotesi di nullità, in potenziale frizione con i valori di libertà negoziale e di impresa, seppur nel bilanciamento con altri valori costituzionali”.

Partendo da tale premessa, se è vero che il rimedio della nullità costituisce strumento idoneo a rimodellare il rapporto contrattuale secondo canoni e criteri valutativi fondamentalmente preordinati ad obiettivi di equità, proporzionalità e giustizia, però, d’altra parte, - precisano le Sezioni Unite nella sentenza in commento – tali obiettivi “dovrebbero pur sempre essere vagliati preventivamente dal legislatore il cui silenzio, lungi dall'essere irrilevante o neutro, molto spesso è decisivo nel senso di escludere la nullità”.

Il silenzio del legislatore nel caso dell’art. 38, co. 2, t.u.b. non è, dunque, irrilevante. Secondo le Sezioni Unite l'assenza di un’esplicita previsione legislativa, che stabilisca l’invalidità del mutuo concesso oltre i limiti imposti dalla norma in esame, “costituisce un elemento che esclude una voluntas legis volta a sanzionare con l'invalidità un finanziamento bancario con garanzia insufficiente”. Nel caso di specie non sussiste neppure un interesse del mutuatario in caso di superamento del limite di finanziabilità del mutuo.

Nel proseguire nella loro analisi interpretativa, le Sezioni Unite trovano arduo identificare l'interesse tutelato dalla norma in esame nelle “ripercussioni che tali tipologie di finanziamenti possono avere sull'economia nazionale o nel fatto di essere (la norma) espressione della "politica economica" o di "obiettivi economici generali"”.

Lo scopo dell’art. 38, co. 2, t.u.b., che è sicuramente quello di preservare la stabilità patrimoniale degli istituti di credito e di impedire il verificarsi di situazioni di squilibrio tra garanzie acquisite e concessione di credito, pur presentando profili di interesse pubblico, non basta a connotare l’art. 38, co.2, t.u.b. in termini imperativi.

Le Sezioni Unite non ritengono convincenti i ragionamenti svolti da alcune decisioni (cfr. Cass. sez. I n. 11201 e 13286 del 2018) secondo cui l'interesse pubblico sottostante all’art. 38, co. 2, t.u.b. dovrebbe essere inteso come "interesse alla corretta concorrenzialità del mercato del credito" e “a contrastare "i rischi espoliativi" cui sarebbe soggetto il mutuatario per il pericolo che il debitore, avendo ottenuto un finanziamento eccessivo, possa subire l'esproprio della residua parte del proprio patrimonio”.

In particolare con riferimento alla corretta concorrenzialità del mercato del credito, le Sezioni Unite ritengono che tale concorrenzialità si realizza proprio offrendo alla clientela maggiori possibilità di accesso al credito: risultato questo cui non si perviene con la sanzione della nullità.

A conclusione del ragionamento, affermano le Sezioni Unite che “la scelta di politica economica compiuta dal legislatore è stata, come si è detto, di favorire la mobilizzazione della proprietà immobiliare ampliando la possibilità di far ricorso ai finanziamenti, contemperandola però con l'esigenza di contenere il rischio per le banche erogatrici a tutela della loro stabilità finanziaria. Intravedere in tale esigenza (alla sana e prudente gestione delle banche) un interesse corrispondente a un valore giuridico fondamentale, di per sé indicativo della imperatività della disposizione in questione (art. 38, comma 2), stride anche con l'assenza nell'ordinamento di norme imperative attinenti al contenimento del rischio predetto nelle altre tipologie di finanziamenti erogati dalle banche che ben possono essere non assistiti da alcuna garanzia”.

4.2. – Sulla non percorribilità della riqualificazione del contratto alla stregua di un mutuo ipotecario ordinario

In ultima analisi, nella sentenza in commento, le Sezioni Unite si sono chieste se, come suggerito dall’ordinanza interlocutoria, una volta esclusa la nullità per violazione di norma imperativa, il mutuo concesso oltre il limite di cui all’art. 38, co. 2, t.u.b. possa essere riqualificatoalla stregua di un mutuo ipotecario ordinario “prescindendo dal nomen iuris adoperato dalle parti e sterilizzandolo delle tutele speciali previste dalla legge, in favore del mutuante, per i finanziamenti fondiari”.

Le Sezioni Unite ritengono che, nonostante la pacifica non conformità del mutuo fondiario concesso oltre i limiti di finanziabilità al modello tipizzato dall'art. 38 t.u.b., non sia “consentito all'interprete intervenire (d'ufficio) sugli effetti legali del contratto per neutralizzarli, facendo applicazione di un diverso modello negoziale (mutuo ordinario) non voluto dalle parti, seppure appartenente alla stessa famiglia o genus contrattuale”.

Se da una parte, l’operazione di qualificazione del contratto, ricordano le Sezioni Unite, è compito del giudice e non dei contraenti (il giudice non è vincolato al nomen juris dato dalle parti e può correggere la qualificazione data quando riscontri che essa non corrisponde alla sostanza del contratto o dell'operazione negoziale), dall’altra, le determinazioni dei contraenti rispetto alla qualificazione del contratto non sono del tutto irrilevanti essendo la qualificazione stessa del contratto direttamente influenzata dalla loro volontà.

Sul punto le Sezioni Unite hanno espressamente affermato che “Se le parti qualificano un contratto in un certo modo (ad esempio, come "mutuo fondiario") sussistendone le caratteristiche essenziali identificative, col deliberato proposito di regolare il rapporto secondo la pertinente disciplina, il giudice, in via di principio, non può disattendere la loro qualificazione a favore di una qualificazione (anche parzialmente) diversa ritenuta più adeguata secondo parametri normativi astratti, a meno che la stessa qualificazione non sia specificamente contestata in giudizio (e quindi rimessa al giudice) o ricorrano le condizioni per la conversione del contratto (art. 1424 c.c.), ma ciò presuppone che ne sia fondatamente contestata la validità e non è questo il caso, essendo stata esclusa la nullità del mutuo fondiario stipulato dai contraenti, in relazione a entrambi i dedotti profili del superamento del limite di finanziabilità e della destinazione della somma mutuata a ripianare passività pregresse”

Nel caso di mero errore qualificatorio dei contraenti nella denominazione di un contratto, la ridenominazione (o riqualificazione) è sempre possibile anche d'ufficio. In tale caso l'operazione qualificatoria del giudice non incide sul regolamento di interessi convenuto dai contraenti.

Un’analoga opera di riqualificazione, secondo il Collegio, “non è invece consentita per correggere o integrare il regolamento di interessi volutamente e validamente assunto dai contraenti secondo un determinato tipo o sottotipo negoziale per adeguarlo d'autorità a un diverso tipo o sottotipo legale non corrispondente alla loro volontà comune.”

Le Sezioni Unite affermano che, nel caso di specie sottoposto al loro scrutinio, essendo stata denunciata infondatamente l'invalidità del contratto per contrasto con le norme riguardanti il mutuo fondiario (sul presupposto però della corrispondenza di tale operazione negoziale alla comune volontà delle parti), “la riqualificazione d'ufficio del contratto come ordinario mutuo ipotecario non è operazione praticabile, risolvendosi in una impropria correzione o manipolazione del regolamento di interessi validamente convenuto tra le parti, al fine di privarlo in concreto dei relativi effetti legali”.

4.2. – I principi di diritto enunciati.

In merito alle questioni sopra esaminate le Sezioni Unite hanno affermato, nella sentenza in commento, i seguenti principi di diritto:

  • In tema di mutuo fondiario, il limite di finanziabilità di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 38, comma 2, non è elemento essenziale del contenuto del contratto, non trattandosi di norma determinativa del contenuto del contratto o posta a presidio della validità dello stesso, ma di un elemento meramente specificativo o integrativo dell'oggetto del contratto; non integra norma imperativa la disposizione - qual è quella con la quale il legislatore ha demandato all'Autorità di vigilanza sul sistema bancario di fissare il limite di finanziabilità nell'ambito della "vigilanza prudenziale" (cfr. art. 51 ss. e art. 53 t.u.b.) - la cui violazione, se posta a fondamento della nullità (e del travolgimento) del contratto (nella specie, del mutuo ormai erogato cui dovrebbe conseguire anche il venir meno della connessa garanzia ipotecaria), potrebbe condurrebbe al risultato di pregiudicare proprio l'interesse che la norma intendeva proteggere, che è quello alla stabilità patrimoniale della banca e al contenimento dei rischi nella concessione del credito”;
  • qualora i contraenti abbiano inteso stipulare un mutuo fondiario corrispondente al modello legale (finanziamento a medio o lungo termine concesso da una banca garantito da ipoteca di primo grado su immobili), essendo la loro volontà comune in tal senso incontestata (o, quando contestata, accertata dal giudice di merito), non è consentito al giudice riqualificare d'ufficio il contratto, al fine di neutralizzarne gli effetti legali propri del tipo o sottotipo negoziale validamente prescelto dai contraenti per ricondurlo al tipo generale di appartenenza (mutuo ordinario) o a tipi contrattuali diversi, pure in presenza di una contestazione della validità sotto il profilo del superamento del limite di finanziabilità, la quale implicitamente postula la corretta qualificazione del contratto in termini di mutuo fondiario”.

Per leggere il testo integrale della sentenza clicca qui:

http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snciv&id=./20221116/snciv@sU0@a2022@n33719@tS.clean.pdf

Sullo stesso argomento leggi anche La sorte del mutuo fondiario in violazione dei limiti di finanziabilità richiamati dall’art. 38 del Testo Unico Bancario.

Con l’ordinanza del 9 febbraio 2022, n. 4117 la Corte di Cassazione ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione riguardante la sorte del mutuo fondiario concesso in violazione dei limiti di finanziabilità richiamati dall’art. 38, co. 2, del d.lgs. n. 385/1993 (t.u.b.).

Nel ripercorrere il dibattito giurisprudenziale nato intorno alla questione, l’ordinanza interlocutoria ha ricordato che, in un primo momento, la giurisprudenza si era orientata nel senso che la sanzione della nullità prevista dall’art. 117 t.u.b. non potesse essere applicata nel caso di violazione dei limiti di finanziabilità del mutuo previsti dall’art. 38, co. 2, t.u.b. (v. in tal senso le sentenze ‘gemelle’ Cass. 26672/2013 e 27380/2013: "il D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 38, che, a tutela del sistema bancario, attribuisce alla Banca d'Italia il potere di determinare l'ammontare massimo dei finanziamenti, attiene ad un elemento necessario del contratto concordato fra le parti, qual è l'oggetto negoziale, e, pertanto, non rientra nell'ambito della previsione di cui all'art. 117 del medesimo decreto,il quale attribuisce, invece, all'istituto di vigilanza un potere "conformativo" o "tipizzatorio" del contenuto del contratto, prevedendo clausole-tipo da inserire nel regolamento negoziale a tutela del contraente debole; ne deriva che il superamento del limite di finanziabilità non cagiona alcuna nullità, neppure relativa, del contratto di mutuo fondiario" (nello stesso senso Cass. 04/11/2015, n. 22446)”).

Secondo l’indirizzo in esame l’art. 38 del t.u.b., collocandosi a tutela del sistema bancario ed avendo lo scopo di evitare che gli istituti di credito assumano esposizioni eccessive senza adeguate garanzie, costituirebbe una norma di buona condotta (non una norma-atto), la cui violazione può determinare solo l’irrogazione delle sanzioni previste dall’ordinamento ovvero essere fonte di responsabilità.

Successivamente la giurisprudenza ha mutato il proprio orientamento ritenendo che al superamento dei limiti di finanziabilità debba necessariamente conseguire la nullità del mutuo fondiario ferma la possibilità, ove ne sussistano i presupposti, di convertire il mutuo fondiario in un ordinario finanziamento ipotecario (v. Cass. 13/7/2017, n. 17352, “In tema di mutuo fondiario, il limite di finanziabilità del D.Lgs. n. 385 del 1993, ex art. 38, comma 2, è elemento essenziale del contenuto del contratto ed il suo mancato rispetto determina la nullità del contratto stesso (con possibilità, tuttavia, di conversione in ordinario finanziamento ipotecario ove ne sussistano i relativi presupposti, su istanza della banca nel primo momento utile successivo alla rilevazione della nullità), e costituisce un limite inderogabile all'autonomia privata in ragione della natura pubblica dell'interesse tutelato, volto a regolare il "quantum" della prestazione creditizia al fine di favorire la mobilizzazione della proprietà immobiliare ed agevolare e sostenere l'attività di impresa”.

La sentenza citata, se, da una parte, ha riaffermato, in linea con le sentenze ‘gemelle’, la non riconducibilità della previsione dell’art. 38 alle nullità testuali previste dall’art. 117 t.u.b., dall’altra, non ha condiviso la restante parte del percorso argomentativo, avendo individuato nella nullità virtuale - in ragione della natura pubblicistica dell’interesse economico nazionale tutelato - la sanzione da comminare al contratto di mutuo nel caso del superamento dei limiti di finanziabilità.

La sanzione della nullità sarebbe conforme all’insegnamento delle Sezioni Unite (Cass. S.U. nn. 26724 e 26725 del 2007), secondo cui “la violazione di una norma imperativa determina la nullità ogni volta che si ripercuote sulla regola negoziale e dunque sia ravvisabile un contrasto tra la norma violata ed il regolamento d'interessi sotteso al negozio”.

Il superamento del limite di finanziabilità di cui all’art. 38 t.u.b. non potrebbe configurare la violazione di una norma-comportamento in quanto, concernendo un elemento relativo alla struttura negoziale (il contenuto), quale la determinazione del "quantum" della prestazione creditizia, incide direttamente sulla fattispecie. La predetta violazione non è correlabile all'area né delle condotte poste in essere in fase pre-negoziale, né di quelle poste in essere nella fase attuativa.

Nonostante l’orientamento inaugurato con la sentenza del 2017 (Cass. n. 17352/2017) si sia ampiamento consolidato nella giurisprudenza successiva (v. ex multis Cass. nn. 19016/2017; 6586/2018; 11201/2018, 13286/2018, 22466/2018, 29745/2018, 17439/2019, 1193/2020), con l’ordinanza interlocutoria in commento la Cassazione ha ritenuto di dover rimettere all’attenzione delle Sezioni Unite alcuni aspetti, posti a fondamento del richiamato orientamento giurisprudenziale.

La Cassazione, in sede di rimessione, si è chiesta, e ciò costituisce il primo nodo problematico, “se nel caso in esame possa realmente configurarsi la nullità di cui all' art 1419 c.c., comma 1, in ragione del riscontro dell'effettivo carattere imperativo della norma violata”.

Secondo l'orientamento prevalente (inaugurato da Cass. 17352/2017), il carattere imperativo può desumersi dalla natura pubblicistica dell'interesse sotteso all’art. 38, co. 2, t.u.b., essendo ispirato ad obiettivi economici generali “attesa la ripercussione che tale tipologia di finanziamenti possono avere sull’economia nazionale”.

Nell’ordinanza interlocutoria, nella prospettiva di una possibile rimeditazione del predetto ragionamento, è stato evidenziato come, d’altra parte, si potrebbe sostenere che la disposizione violata non è costituita da una fonte normativa primaria, quale è certamente l'art. 38, ma da una fonte subordinata, da ravvisarsi nel provvedimento della Banca d'Italia (“Ora, se è vero che il compito istituzionale dall'Autorità di vigilanza è quello di garantire la trasparenza e correttezza dei comportamenti degli istituti di credito, ciò, forse, non è sufficiente per ritenere che ci si trovi al cospetto di un interesse di carattere generale, diretto cioè al perseguimento di obiettivi economici collegati all'economia nazionale” ).

Occorre accertare – continua la Corte - “se le regole prescritte dalla Banca d'Italia, in esecuzione della delega ricevuta dal legislatore, mirino di per sé a garantire il pubblico interesse; oppure mirino esclusivamente ad evitare, come ritenuto dalle sentenze "gemelle" del 2013, che l'istituto di credito assuma un'esposizione finanziaria senza un'adeguata contropartita e garanzia (facendosi riferimento all'art. 38, come norma "volta ad impedire che le banche si espongano oltre un limite di ragionevolezza a finanziamenti a favore di terzi che, se non adeguatamente garantiti, potrebbero portare a possibili perdite di esercizio"); oppure se, ancora, quest'ultimo scopo non sia, addirittura, esso stesso un interesse che, sebbene volto a tutelare in apparenza la posizione di uno solo dei contraenti, indirettamente miri a realizzare una finalità di carattere generale”.

L’interesse alla correttezza del comportamento delle banche, pur avendo innegabili riflessi sul buon funzionamento dell'intero mercato, potrebbe non essere sufficiente a far scattare la nullità virtuale, posto che, a tutela del predetto interesse, sono stati già predisposti precipui poteri di controllo e sanzionatori in capo all'autorità pubblica di vigilanza.

Come ricordato in precedenza, secondo l’orientamento prevalente (Cass. 17352/2017), la violazione dell'art. 38, riguardando la disposizione un elemento strutturale della fattispecie, darebbe luogo a nullità virtuale per violazione di norme imperative.

Anche in relazione a tale punto, la Corte suggerisce una più approfondita riflessione.

Da tale angolazione l’art. 38 t.u.b. “pur conferendo alla Banca d'Italia il potere di determinare la percentuale massima del finanziamento, che costituisce indubbiamente l'oggetto del contratto, non interferisce però sul contenuto del contratto "per aggiunta", cioè prevedendo un ulteriore elemento costitutivo della fattispecie contrattuale, ma solo "per specificazione", imponendo che un elemento intrinseco già presente nel contratto (cioè il suo oggetto) possegga una determinata caratteristica di tipo quantitativo, restando però del tutto invariata la struttura della fattispecie nei suoi fondamentali elementi tipizzati.

Riprendendo il percorso argomentativo svolto dalle sopra richiamate sentenze ‘gemelle’, la Corte ricorda che la previsione della soglia dell'80% non va ad incidere sul sinallagma contrattuale, ma si limita a disciplinare, attraverso una regola di buona condotta, il comportamento della banca in vista della tutela della sua stabilità patrimoniale.

Un altro aspetto su cui riflettere riguarda, infine, le conseguenze che l'applicazione della sanzione della nullità produce sugli interessi in gioco.

A tal proposito, la Corte richiama quanto affermato dalle sentenze "gemelle" del 2013, secondo cui “far discendere dalla violazione della soglia la conseguenza della nullità del mutuo ormai erogato (e far venir meno la connessa garanzia ipotecaria), condurrebbe al paradossale risultato di pregiudicare, ancor più, proprio quel valore della stabilità patrimoniale della banca che la norma intendeva proteggere”.

La nullità del mutuo sarebbe invece l’unica sanzione possibile per coloro che, valorizzandone il carattere imperativo, sostengono che l’art. 38 non sia una norma volta alla tutela della stabilità della singola banca, ma sia invece diretta a proteggere un interesse pubblico economico nazionale.

D’altra parte, obietta la Corte, non è rilevabile dal contratto il mancato rispetto del limite di finanziabilità del mutuo.

La verifica del reale valore del cespite può avvenire solo attraverso valutazioni estimatorie spesso ricavabili all'esito dell'espletamento di una consulenza tecnica svolta in corso di causa.

Il rispetto del limite di finanziabilità comporta “un oggettivo riscontro fattuale”  e non pone dunque una questione di validità delle dichiarazioni negoziali (v. sul punto, nello stesso senso, quanto detto da Cass. 19/11/2018, n. 29745, secondo cui “l'indicazione nel contratto di mutuo fondiario del valore del bene offerto in garanzia non assurge a requisito di forma prescritto "ad substantiam", non essendo previsto come tale dalla disciplina specifica di cui agli artt. 38 e 117 T.U.B. e non rientrando nell'ambito delle "condizioni" contrattuali di carattere economico. Ne consegue che la sua omissione non impedisce l'applicabilità del limite di finanziabilità, che è requisito di sostanza del contratto”).

L’effettivo rispetto del limite di finanziabilità non pone dunque una questione di validità delle dichiarazioni negoziali, ma di "oggettivo riscontro fattuale", ne deriva che l'indicazione del valore dell'immobile nel contratto non ha valore costitutivo.

Secondo la Corte di Cassazione la sanzione della nullità, posto che il rispetto del limite di finanziabilità è demandato ad un accertamento tecnico, “potrebbe apparire sproporzionata se ed in quanto fondata sulla verifica di valori di mercato che presentano un certo margine di opinabilità (destinato inevitabilmente ad accrescersi se, come accade nella maggioranza dei casi, l'indagine demandata al ctu viene svolta a distanza di anni dalla data di stipulazione del contratto). Tanto più che nessuna delle parti potrebbe fare affidamento sulla stabilità e soprattutto sulla validità ab origine del contratto stipulato, essendo ben possibile che il valore immobiliare, sia pure oggetto di iniziale perizia estimativa, sia stato inconsapevolmente sopravvalutato”.

Sanzionare il mutuo con la nullità determinerebbe un vantaggio obiettivamente sproporzionato per il mutuatario il quale realizzerebbe la completa liberazione dell’immobile dall'ipoteca.

Inoltre, nel caso di esecuzione individuale promossa dall'istituto di credito mutuante, la nullità darebbe luogo all’estinzione della procedura per il venir meno del titolo esecutivo, anche in danno degli eventuali creditori intervenuti non muniti di titolo.

Anomalie si verificherebbero anche nel caso di apertura di una procedura concorsuale, perché l'interesse dei creditori al rispetto della par condicio verrebbe ad essere protetto attraverso una sanzione di nullità dell'intero contratto derivante unicamente dall'illegittima costituzione della garanzia fondiaria, anziché essere tutelato con lo strumento della revocatoria.

In conclusione, la Corte, nell’ordinanza interlocutoria suggerisce di verificare se la tutela degli interessi in gioco non sia più efficacemente presidiata attraverso un’operazione che si limiti a risolvere la questione attraverso l’utilizzo di una semplice tecnica di natura qualificatoria, senza utilizzare la sanzione della nullità.

La conversione del contratto nullo presenta delle problematiche di non poco conto, in quanto, richiedendo l’ignoranza di entrambe le parti circa l’invalidità del contratto, risulta di difficile utilizzo. Inoltre, sotto il profilo processuale, richiede che l’istanza venga formulata nella prima difesa utile successiva al rilievo della nullità.

In ultima analisi, la soluzione alternativa, ipotizzata dalla Corte nell’ordinanza interlocutoria, sarebbe quella di riqualificare il contratto “alla stregua di un mutuo ipotecario ordinario, prescindendo dal nomen iuris adoperato dalle parti e sterilizzandolo delle tutele speciali previste dalla legge, in favore del mutuante, per i finanziamenti fondiari… In tal modo il rispetto del c.d. scarto di garanzia finirebbe per incidere non sul piano della validità del contratto, ma unicamente sulla possibilità di applicare, al programma negoziale posto in essere dalle parti, le peculiari conseguenze ricollegate dalla legge al finanziamento fondiario e dunque sulla possibilità per l'istituto di godere della relativa disciplina di favore”.

La parola alle Sezioni Unite…

Per leggere il testo dell’ordinanza integrale clicca qui:https://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/4117_02_2022_no-index.pdf

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