Il giudice deve accertare la sussistenza del nesso di causalità tra l'inoculazione del vaccino e i pregiudizi lamentati, tenendo conto non solo della sicurezza del farmaco, per come affermata dalla letteratura scientifica, sulla base di leggi statistiche, ma anche delle acquisizioni probatorie.
Questo il principio affermato dalla Corte di Cassazione, con sentenza del 18 novembre 2022, n. 34027.
La vicenda processuale trae origine dal ricorso proposto da persona che ha riportato gravi danni in concomitanza con la somministrazione della terza dose del vaccino antipolio. Il ricorrente, in particolare, ha lamentato il comportamento colpevole del Ministero della Salute per non avere adottato tutte le cautele necessarie a evitare l’immissione in commercio di un vaccino non adeguatamente confezionato e per avere somministrato la terza dose del vaccino, nonostante l’insorgenza di gravi reazioni avverse in seguito alla somministrazione delle prime due dosi.
Il Tribunale di Roma aveva accolto, in parte, la domanda risarcitoria in relazione alla sindrome post polio, respingendo quella relativa ai danni insorti dopo la vaccinazione per prescrizione del credito risarcitorio.
La Corte d’Appello ha ritenuto che non fosse stata fornita la prova che il vaccino fosse pericoloso, e che lo stesso, anzi, all’epoca dei fatti era considerato sicuro dalla comunità scientifica. Ha quindi affermato che al fine di valutare la ricorrenza di detta pericolosità non avrebbe dovuto essere preso in considerazione il c.d. incidente Cutter, da cui erano scaturiti eventi dannosi non collegati alla pericolosità del vaccino antipolio, ma alla difettosità del lotto somministrato. Di conseguenza, il Ministero non poteva essere ritenuto responsabile per i danni derivanti dalla somministrazione di un vaccino che la letteratura scientifica riteneva sicuro.
Tale decisione è stata impugnata dall’originario ricorrente sotto il profilo della violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, non essendo stata dedotta in giudizio l’astratta pericolosità del vaccino, bensì la connessione tra la somministrazione delle tre dosi e l’insorgenza della poliomielite in conseguenza della responsabilità per colpa del Ministero.
La sentenza in esame – escluso il vizio di ultrapetizione – ha altresì ritenuto che la Corte territoriale è incorsa in errore per avere deciso “senza preoccuparsi di prendere in considerazione tutto il corredo istruttorio e le risultanze della relazione peritale, anche solo allo scopo di escludere che da essa emergesse la dimostrazione del nesso causale ovvero al fine di discostarsene”. Nella sostanza, la Corte d’Appello “si è limitata a discostarsi sul punto dalla decisione del Tribunale, ma non ha proceduto ad una propria valutazione del merito della vicenda, sulla scorta degli elementi di prova a sua disposizione, allo scopo di verificare se una volta esclusa la pericolosità del vaccino, da intendersi alla stregua della potenzialità del vaccino Salk, per le sue caratteristiche, di provocare danni in astratto, lo stesso avesse provocato la paralisi, perché appartenente ad un lotto non correttamente confezionato o prodotto o perché non avrebbe dovuto essere somministrato in quella particolare circostanza”.
Così argomentando la Corte territoriale si è discostata dal costante insegnamento del Supremo Collegio, secondo cui è sempre necessaria “l'analisi specifica e puntuale di tutte le risultanze probatorie del singolo processo, della singola vicenda di danno, della singola condotta causalmente efficiente alla produzione dell'evento, tutte a loro volta permeate di una non ripetibile unicità. L'ineludibile esigenza di ancorare l'accertamento del nesso causale alla concretezza della vicenda storica comporta una traslazione della regola sostanziale in quella processuale, tale che la valorizzazione del caso concreto non risulti svalutazione della legge scientifica, soprattutto nella sua declinazione di legge statistica, per dar corpo ad "ideali aneliti riparatori tout court"... ma impone di calare il giudizio sull'accertamento del nesso causale all'interno del processo, così da verificare, secondo il prudente apprezzamento rimesso al giudice del merito... la complessiva evidenza probatoria del caso concreto e addivenire, all'esito di tale giudizio comparativo, alla più corretta delle soluzioni possibili” (cfr. Cass. 27/07/2021, n. 21530).
A giudizio del Supremo Collegio, dunque, i Giudici del merito avrebbero dovuto “valutare scrupolosamente il quadro indiziario fornito dalla parte danneggiata per stabilire, nel caso specifico, l'eventuale inferenza tra la somministrazione del farmaco e l'evento lesivo”.
A tale conclusione la Corte giunge anche attraverso il richiamo alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sez. II, 21 giugno 2017, n. 621, la quale ha chiarito che “La mancanza della prova scientifica della dannosità di un vaccino, confermata cioè da un consesso o autorità professionale, non può impedire l'individuazione processuale di un nesso di causalità tra l'inoculazione del farmaco e l'insorgere della malattia. Tuttavia, il giudice investito della causa deve valutare scrupolosamente il quadro indiziario fornito dalla parte danneggiata per stabilire, nel caso specifico, l'eventuale inferenza tra la somministrazione del farmaco e l'evento lesivo”.